Agricoltura conservativa, non basta eliminare l’aratro. Ecco le altre pratiche da mettere in campo

P1280077

Nel 1943 un agronomo americano di nome Edward H. Faulkner scrisse un libretto dal titolo “La follia dell’aratore”, che già a quei tempi dimostrava come l’aratro a versoio, usato in tutte le aziende agricole del mondo, fosse l’attrezzo meno soddisfacente per la preparazione dei terreni agricoli ai fini della produzione. Faulkner denunciava inoltre che l’aratro era uno dei responsabili del tasso di erosione dei suoli che l’America già in quegli anni stava vivendo.

Il contributo dell’agricoltore alla mitigazione delle emissioni dannose

“Non abbiamo ricevuto la terra in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri nipoti”, recita un famoso detto. Quindi il dovere numero uno dell’agricoltore è fare di tutto per preservarla dall’erosione e mantenerla in uno stato di elevata fertilità. Se a tutto questo aggiungiamo che oggi la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è la più elevata da 650 mila anni e ha raggiunto e superato la soglia di 400 ppm, non c’è dubbio che dobbiamo cercare di mettere in pratica ogni azione che è in grado di mitigare il problema.

Dopo anni di studi e di sperimentazioni e con il dato di fatto per nulla trascurabile che 155 milioni di ettari nel mondo – pari al 10% delle terre coltivabili – oggi vengono gestiti con la semina diretta e con le minime lavorazioni (cioè con l’agricoltura conservativa) dopo avere abbandonato l’aratro, è comprensibile che anche la politica europea si sia indirizzata con decisione in questa direzione. E così, anche nei nuovi PSR italiani, nell’ambito della misura M 10, c’è una sottomisura che premia chi abbandona l’aratura a favore di sodo e minima.

Abbandonare le tradizioni è un passo molto difficile per i nostri agricoltori, tant’è che la diffusione in Italia delle lavorazioni conservative procede ancora troppo lentamente. Forse perché non è ancora a tutti chiaro che per applicare l’agricoltura conservativa non basta abbandonare l’aratro e adottare attrezzi a dischi o ad ancore, strip-till e seminatrici da sodo; ma occorrono altre cose altrettanto importanti per non perdere produttività.

Il Kverneland Kultistrip in azione su un terreno coperto da residui colturali per preparare le strisce lavorate dove la seminatrice deporrà il seme.
Il Kverneland Kultistrip in azione su un terreno coperto da residui colturali per preparare le strisce lavorate dove la seminatrice deporrà il seme. Clicca qui per saperne di più su questa macchina.

Se non si mettono in pratica i quattro pilastri, l’insuccesso è dietro l’angolo

Quali sono allora le cose da fare? I pilastri dell’agricoltura conservativa li ha ricordati Vincenzo Tabaglio dell’Università di Piacenza nel corso di un recente incontro presso la Regione Emilia-Romagna, la quale, dopo anni di netta avversione alle tecniche conservative, oggi si è finalmente convertita con determinazione ai nuovi sistemi di gestione del suolo agrario. Eccoli:

  1. Rotazione delle colture (per disinnescare i rischi e attivare le virtù).
  2. Evitare l’inversione degli strati di terreno (la semina diretta ma anche la minima lavorazione).
  3. La gestione corretta dei residui colturali (mettere al bando la bruciatura delle stoppie).
  4. Seminare le colture di copertura annuali o perenni (per limitare erosione, lisciviazione e infestanti)

Chi decide di abbandonare l’aratro deve mettere in campo i quattro pilastri sopraindicati, oltre a evitare ogni possibile compattamento degli appezzamenti nel corso delle operazioni colturali e soprattutto in fase di raccolta, altrimenti l’insuccesso è pressoché sicuro, e non si deve dare la colpa all’agricoltura conservativa! Quindi occorre un approccio globale al problema, una sorta di nuovo piano aziendale a cominciare dalle colture da far ruotare.

Ma perché l’aratura è dannosa?

Rovesciare il terreno significa provocare l’ossidazione della sostanza organica e favorire le emissioni di gas che tutto il mondo vuole limitare, ma vuol dire anche distruggere tutti quei microrganismi utili, in particolare i lombrichi che sono i veri “aratori” del terreno, e anche la buona struttura del suolo stesso.

Il ritorno dei lombrichi in un suolo dove l’aratura è stata sostituita dall’agricoltura conservativa.
Il ritorno dei lombrichi in un suolo dove l’aratura è stata sostituita dall’agricoltura conservativa.

Le colture di copertura e i lombrichi sono i nostri migliori alleati

Le colture di copertura o cover crops, di cui si parla tanto in questi ultimi anni, non sono una moda ma un alleato formidabile dell’agricoltore.

Il motivo è presto detto: se non rimescolo il terreno negli strati di suolo, rimangono intatti i canali creati dalle radici delle piante, sia delle colture principali sia delle cover crops, che costituiscono una rete estremamente ramificata che rende il terreno più poroso e areato. Ecco perché, di fronte a una bomba d’acqua, il suolo lavorato si allaga mentre in un terreno a sodo o con cover crops l’acqua si infiltra. Quest’ultimo è pieno zeppo di canali!

La stessa opera ingegneristica di strutturazione del suolo viene effettuata dall’agrofauna, lombrichi in primis, che tra l’altro svolgono anche la funzione di rilasciare altra sostanza organica con i loro escreti.

Un terreno lavorato in maniera tradizionale soffre di più la siccità e richiede più frequenti interventi irrigui.
Un terreno lavorato in maniera tradizionale soffre di più la siccità e richiede più frequenti interventi irrigui.

I tanti vantaggi che ancora molti non vogliono vedere

In sintesi la non lavorazione e la minima lavorazion,e in particolare intesa come strip-till, portano ai seguenti vantaggi:

  1. Aumento della porosità canalicolare del suolo, del tasso di sostanza organica e della stabilità strutturale (vuol dire poter entrare nei terreni quando gli altri che arano fanno fatica).
  2. Aumento dell’infiltrazione di acqua, riduzione dello scorrimento superficiale e dell’evaporazione (vuol dire minore richiesta di acqua irrigua).
  3. Minore compattamento del terreno (vuol dire che le radici si espandono più facilmente).
  4. Efficace controllo dell’erosione e minore pressione delle infestanti (vuol dire diminuire i diserbanti).
  5. Minor consumo di gasolio e meno ore di lavoro per preparare il terreno alla semina (vuol dire cambiare i conti colturali in meglio).

Il passaggio è difficile, lo abbiamo sempre detto, ma occorre coraggio, e l’agricoltore – se fa questo mestiere – è un coraggioso per natura, quindi avanti con l’agricoltura conservativa: almeno provatela anche solo su qualche ettaro.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


8 commenti

  • Regina

    17 Maggio 2016 at 3:11 pm

    Ma questo vale anche per i terreni argillosi?

    Rispondi

    • Roberto Bartolini

      18 Maggio 2016 at 9:19 am

      Anche appezzamenti con il 60% di argilla traggono vantaggio dalla corretta applicazione dell’agricoltura conservativa, a patto che si abbia un po’ di pazienza e che si cerchi di non calpestare il terreno. Mauro Grandi, agricoltore di Pavia e pioniere della semina su sodo, su terreni di questo tipo da 15 anni pratica sodo anche se per tre anni, all’inizio di questa esperienza, ha seminato medica per strutturare il terreno.

      Rispondi

  • riggi michele

    18 Maggio 2016 at 10:53 am

    ho delle perplessità per il terreno argilloso.

    Rispondi

    • Bionaturalagrumi

      31 Maggio 2016 at 11:13 pm

      Non c’è problema nemmeno su terreno argilloso anzi alla lunga i risultati fantastici strutturare il terreno è aiutarsi i primi anni con irrigazioni più omogenee e frequenti

      Rispondi

  • Claudio

    18 Giugno 2016 at 10:06 am

    Mentre per terreni sabbiosi ? da quando si ha abbandonato l’uso dellìaratro dalle mie parti si procede con una rippatura , fresatura e semina. Ho sempre qualche dubbio sulla rippatura.

    Rispondi

    • Roberto Bartolini

      20 Giugno 2016 at 9:55 am

      Gentile Claudio, le lavorazioni conservative abbinate alle cover crops o meno si possono applicare su qualsiasi tipo di suolo. L’importante è seguire le regole riportate nell’articolo. Sui terreni sabbiosi a nostro avviso la rippatura non serve a nulla e si buttano via euro preziosi.

      Rispondi

  • Bruno

    29 Ottobre 2018 at 12:06 pm

    Egr. Dott. Bartolini, sono un agronomo della provincia di Lecce, la contatto per chiederle se fosse eventualmente disponibile a tenere un corso di aggiornamento professionale presso la sede del mio Ordine sull’argomento agronomico fondamentale della tutela del patrimonio suolo agricolo.

    Rimango in attesa di un suo gradito riscontro e le invio i nostri, mio e dei colleghi salentini, più cordiali saluti.

    Rispondi

  • Daniele Previtali

    21 Maggio 2023 at 6:11 pm

    Molto bello, lo dico da almeno un decennio ma è difficile farlo capire. peccato per quel “bomba d’acqua” che rovina l’articolo. Si chiamano NUBIFRAGI, le bombe d’acqua sono il modo che usano i pseudo giornalisti che altrimenti non sanno come fare scalpore.

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato I campi obbligatori sono contrassegnati


Chi siamo

Nato nel 2014, Il Nuovo Agricoltore è un portale informativo dedicato all’agricoltura, con un occhio di riguardo alle innovazioni tecnologiche. Il progetto è sviluppato da Kverneland Group Italia.


CONTATTACI