Roberto Bartolini9 Luglio 20155min12511

Biogas, mais e trinciatura: quando i conti non tornano

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La corsa alla costruzione di impianti di biogas da 1 megawatt, anche da parte di chi ha poca terra e in aree poco vocate al mais, ha caratterizzato l’Italia agricola degli anni passati, che ha battezzato i bio-digestori come la panacea per dare ossigeno ai magri bilanci aziendali.

La corsa all’oro-biogas, come la definisce Roberto Guidotti di Unima nell’ultimo numero de “Il Contoterzista”, ha fatto schizzare verso l’alto il mercato delle trince a scapito di altre macchine da raccolta, che negli ultimi anni hanno perso numeri importanti.

In aree poco vocate il mais produce poco

Con il passare del tempo si è visto che il predominio del mais come coltura principale che rifornisce i digestori è alla base di risultati deludenti che non sono mancati nelle aree con minore diffusione della zootecnia. Per far quadrare i conti, infatti, molti impianti hanno puntato solo sul mais; ma in aree poco vocate la coltura non dà rese elevate, anzi queste si sono spesso rivelate insufficienti, tanto che in parecchi casi i biodigestori hanno lavorato con rendimenti molto bassi e poco remunerativi.

Le perdite per trinciature mal eseguite

Ma c’è dell’altro. Il sistema biogas, secondo chi lo studia, perde ogni anno almeno il 15-20% di fatturato per colpa di una trinciatura male eseguita o eseguita fuori tempo massimo. Nella maggior parte dei casi però la colpa non è di chi trincia il cereale, dice Guidotti, bensì di chi lo ha ingaggiato a un prezzo poco remunerativo. Per fare qualità infatti ci vogliono tempo, tecnologia e professionalità, valori che hanno i loro costi.

Un cantiere di trinciatura di gamma alta, del valore di 380 mila euro, ha un costo orario di 318 euro se fa 300 ore di lavoro all’anno e di 248 euro se fa 600 ore. Un cantiere basic, del valore di acquisto di 250 mila euro, con 300 ore all’anno ha un costo orario di 236 euro, ma se fa 600 ore all’anno il costo scende a 192 euro/ora/macchina.

La lunghezza di trinciatura deve essere il più fine possibile

La lunghezza di trinciatura è il parametro strategico per far andare a mille il biodigestore, ma un lavoro accurato costa, e se il prezzo fissato dal cliente è insufficiente, occorre recuperare sui tempi e quindi il contoterzista finisce per non lavorare come dovrebbe.

La presenza di fibre lunghe può creare infatti difficoltà di funzionamento nelle pompe di circolazione della sospensione del biodigestore, nelle valvole di regolazione dell’afflusso e nelle condotte. La trinciatura dunque deve essere la più fine possibile, assicurando frantumazione della granella ma anche delle altre parti della pianta.

Diamo spazio ai secondi raccolti

Una soluzione almeno parziale del problema può essere quella di seminare con più coraggio e determinazione le seconde colture, una valvola di sfogo utile sia per chi ha il biodigestore, che così può diversificare rispetto al solo mais, sia per il contoterzista, che in questo modo aumenta l’utilizzazione annua delle macchine riuscendo a lavorare con più cura e precisione, pur se con ricavi non esaltanti, accelerando i costi di ammortamento.

La lunghezza di trinciatura deve essere fine per poter consentire ai batteri presenti nel biodigestore di lavorare al meglio.
La lunghezza di trinciatura deve essere fine per poter consentire ai batteri presenti nel biodigestore di lavorare al meglio.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Un commento

  • AgroBio

    5 Agosto 2015 at 10:06 am

    Salve,

    quello che leggo in questo articolo è molto giusto. Infatti per far funzionare bene l’impianto occorre mettere in campo le migliori e più efficaci tecniche di gestione, a partire dal campo. Unitamente alle migliori tecnologie.
    Ciò che si vede spesso, infatti, è una corsa al risparmio che poi però non paga. E non parlo di tempi lunghi, ma anche in tempi brevi: rotture, bassi regimi di produzione, etc.

    Quindi, massima attenzione e non lesinare in tecnologia ed efficienza.

    Roberto Balestri

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