Gestione terreno, perché non basta abbandonare l’aratura

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Il 62% dei suoli europei non è sano. Ciò significa perdita anno dopo anno delle qualità chimiche, fisiche e biologiche che sono alla base della fertilità e quindi della buona produzione agricola. In Italia il declino della sostanza organica (con valori inferiori all’1,5%) nei terreni agricoli ha raggiunto livelli molto preoccupanti in regioni altamente produttive come Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia e Sicilia. Ecco perché l’Unione europea e l’Italia, già con la vecchia Pac e ancora di più con quella attuale, hanno messo il suolo al centro di una serie di misure agronomiche, sia obbligatorie che volontarie, per cercare di innescare una inversione di tendenza, che sappiamo richiederà però molti anni.

Il punto di partenza è quello di evitare il rovesciamento della fetta di terreno che lo espone a fenomeni di degradazione progressiva del contenuto di sostanza organica, con conseguenze devastanti sui miliardi di microrganismi che sono i principali responsabili della produzione di humus, sinonimo di sanità e fertilità del terreno.

Con la minima lavorazione operata dall’erpice a dischi non si invertono le fette di terreno nella preparazione del letto di semina.

La resistenza degli aratori

Ma in Italia bisogna combattere contro la resistenza di una schiera ancora molto numerosa di agricoltori che considerano questi allarmi esagerati e quindi non ne vogliono sapere di cambiare registro quando si consiglia loro di abbandonare l’aratura, in particolare quella medio-profonda (40 cm) abbinata a più passaggi di erpice rotante, considerata da loro, a torto, ancora la base indispensabile per produrre bene su qualsiasi terreno.

La ricerca e la sperimentazione, con una serie di progetti e attività in campo, da anni dimostra, dati alla mano, che se si vuole migliorare la salute globale dei nostri terreni il cambio di passo va fatto, ma occorre un approccio agronomico globale, cioè mettere solo l’aratro in soffitta e continuare a fare quello che si è sempre fatto non basta, anzi può essere negativo.

Come aumentare la sostanza organica

Tra i progetti di più lunga durata che hanno messo a confronto semina su sodo, minima lavorazione e aratura c’è il DICO-SOS (che significa digestato, cover crops e operazioni colturali per aumentare la sostanza organica). Il progetto è durato sette anni e si avvia a continuare il suo percorso, coordinato dalla Fondazione per l’Agricoltura F.lli Navarra con la partecipazione di CRPA, Università di Ferrara, Dinamica scarl e le aziende agricole Tiziana Preti e Gherardi Ravalli Modoni.

L’obiettivo è individuare, dati alla mano, le pratiche agronomiche che permettono di aumentare il contenuto di sostanza organica nel terreno, diminuire le emissioni di gas serra, ridurre l’inquinamento da nitrati e ridurre anche l’uso dei diserbanti. La sintesi operativa da indicare al nostro agricoltore, che si ricava da una montagna di dati derivanti dalle prove in campo e in laboratorio svolte nel corso del progetto, è che l’obiettivo di rigenerare il terreno si ottiene solo dalla sinergia tra più azioni da mettere in campo contemporaneamente. E qui sta tutta la difficoltà dell’operazione, perché si tratta in molti casi di stravolgere uno schema operativo consolidato.

Le cover crops sono indispensabili

Per esempio il terreno a sodo si presenta negli strati esplorati dalle radici più compatto rispetto a quello arato o a minima, e questo fattore porta all’emergenza di un numero inferiore di piante al metro quadro e quindi comporta minori produzioni che i dati evidenziano.

Il rafano (tillage radish) grazie alla sua conformazione esercita i massimi benefici sulla strutturazione del suolo, che riacquista un giusto equilibrio tra micro e macro pori.

Ma se si seminano le cover crops per coprire il terreno nel periodo invernale, tra una coltura principale e la successiva, le analisi dimostrano che il compattamento del terreno diminuisce notevolmente, portandosi su valori pari alle altre due tecniche e quindi si recupera in produttività ed il sodo migliora i suoi connotati economici.

È noto che applicando minima lavorazione e sodo, in alcune situazioni aumenta la pressione delle infestanti rispetto a un terreno arato, ma anche in questo caso l’uso costante ogni anno delle cover crops mostra un effetto di parziale contrasto allo sviluppo delle malerbe, che aumenta progressivamente anno dopo anno. Ci sono tantissimi esempi di agricoltori che ci confermano una significativa riduzione delle dosi di prodotti chimici.

I residui colturali lasciati sul campo costituiscono una pacciamatura naturale che ha la funzione anche di tesaurizzare le riserve idriche.

L’uso agronomico dei digestati

Se poi alle cover crops aggiungiamo la distribuzione sottosuperficiale dei digestati, ecco che il sistema agronomico mostra ulteriori miglioramenti, passando dalla lavorazioni tradizionali a quelle conservative.

La distribuzioe agronomica del digestato offre massime performance quando viene abbinata allo strip till, una tecnica di minima sempre più adottata in Pianura Padana.

Le prove del progetto DICO-SOS hanno indicato che il massimo effetto dall’uso del digestato si ottiene con le distribuzioni eseguite in copertura rispetto a quelle effettuate in autunno con le lavorazioni, quando si verificano comunque delle perdite di azoto e anche possibili emissioni di gas serra. Ma è chiaro che le vasche sono piene tutto l’anno e non si può certo aspettare per la distribuzione solo la primavera, a meno che non sia lo Stato a provvedere a stoccaggi territoriali che non siano a carico degli imprenditori agricoli.

I dati di bilancio dell’azoto dimostrano che i sistemi arativi con asporto dei residui colturali e senza apporti di fertilizzanti organici perdono sostanza organica, impoverendosi, quindi la copertura abbinata ai sistemi di gestione conservativa del suolo si conferma una pratica indispensabile a salvaguardia della loro fertilità.

La sinergia positiva tra più azioni

In conclusione, il passaggio dall’aratura a minima e sodo può avere successo solo se parallelamente si mettono in campo:

  1. Idonee rotazioni con il giusto mix tra colture da rinnovo e depauperanti, tra oleaginose e cereali, eccetera.
  2. Copertura del terreno per dodici mesi all’anno.
  3. Utilizzo agronomico di liquami e digestati.
Minima lavorazione e sodo non si possono applicare su terreni dove cono presenti ormaie provocate dal passaggio dei carri da raccolta.

A tutto questo si deve aggiungere anche il massimo rispetto del suolo, evitando di entrare in campo quando il terreno non è in tempera e di praticare i calpestamenti da parte dei carri da raccolta, che vanno lasciati sulle cappezzagne quando si raccolgono le granelle.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


2 commenti

  • Umberta Mesina

    23 Agosto 2024 at 9:52 am

    Ecco dove sta il problema: “i sistemi arativi con asporto dei residui colturali e senza apporti di fertilizzanti organici perdono sostanza organica”. E il problema sarebbe l’aratura, non l’asporto e mancato apporto di s.o.? Per il resto, lo trovo un gran bell’articolo. Non considera i costi manco per sbaglio, ma tecnicamente è davvero buono.

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  • Luca

    23 Agosto 2024 at 9:27 pm

    Da 4 anni non aro più..la rotazione è molto breve( medica, frumento foraggero, loietto). Piano piano arrivo alle cover ma devo farlo capire alla vecchia leva..la quale comanda..importante è anche imparare a gestire il letame, il quale credo che debba sempre essere fatto maturare vista la poca profondità a cui viene interrato e anche la estrema vicinanza alle nuove radici.
    Velocità di lavoro imbattibile con aratura

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