Roberto Bartolini28 Gennaio 20194min11780

Il modello industriale può essere applicato anche all’agricoltura

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Quando parliamo di agricoltura, lamentiamo il fatto che le nostre aziende agricole sono di piccole dimensioni e quindi, a parte quelle che puntano su prodotti ad alto valore aggiunto, si prevede che avranno un futuro molto incerto. Questo ragionamento oggi viene fatto soprattutto da chi produce seminativi e deve combattere con la volatilità dei prezzi di mercato e con la necessità inderogabile di un alto livello di innovazione che non tutti sono disposti ad affrontare.

L’industria italiana: 4,4 milioni di imprese con la media di 4 addetti

Ma l’industria italiana come è messa? Più o meno allo stesso modo: i numeri dell’Istat ci dicono che in Italia ci sono 4,4 milioni di imprese attive, ma la dimensione media è di 4 addetti. Quelle sino a 49 dipendenti raggiungono la stragrande maggioranza e assicurano l’occupazione da più di mezzo secolo.

Eppure l’industria italiana funziona e fa utili, e lo sviluppo più recente è stato condotto proprio da imprese piccole e medie che si sono organizzate in distretti industriali. Ecco dunque il segreto: fare rete, inserirsi nelle filiere, fare in modo che gli aggregati locali di tanti piccoli imprenditori formino un’impresa di dimensioni giuste per reggere la concorrenza e imporsi sui mercati del mondo.

Il distretto agricolo d’area è la mossa vincente

Il modello dell’industria italiana è anche la sua forza e l’agricoltura dovrebbe guardarlo con sempre maggiore interesse, dal momento che la terra è sempre meno ed è complicato, a parte l’escamotage dell’affitto, aumentare la dimensione aziendale.

Esempi di distretti agricoli ce ne sono, ma sono ancora pochi quelli che riguardano i seminativi, il comparto che in questo momento soffre di più e ha più bisogno di attenzione e di innovazione. Cereali, oleaginose eccetera si prestano a essere prodotti attraverso aggregazioni organizzate a livello locale, veri e propri distretti agricoli che possono così collegarsi con gli acquirenti offrendo finalmente masse critiche importanti condite con alta qualità, tracciabilità, diversificazione e tutto quanto serve al marketing. Questo il singolo agricoltore non lo può fare!

L’impresa agricola non deve vivere di sola Pac

Inoltre l’impresa agricola non deve vivere di sola Pac. Come ha scritto Angelo Frascarelli in un recente editoriale su Terra e Vita, «l’assistenzialismo della Pac è diventato una droga per molti agricoltori ed è il primo nemico dello sviluppo. È necessaria una cultura di impresa e un efficiente sistema agricolo nazionale, invece di piangere sui contributi della Pac. Per molti agricoltori i fondi della Pac rappresentano quel filo di ossigeno che allunga l’agonia, ma la morte dell’impresa è certa».

E dire che nei PSR regionali alcune misure sono state progettate proprio per finanziare le buone idee di chi si mette insieme e fa squadra per portare avanti un progetto comune. Ma in quanti se ne sono accorti?

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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