L’Italia non semina abbastanza mais: a rischio mezzo miliardo di euro di export

mais

Tutti a magnificare lo straordinario exploit della bilancia commerciale dell’agroalimentare italiano che spopola nel mondo per la sua qualità, ma nessuno che concentri per un attimo la sua attenzione su un pericolo reale che mette a rischio le nostre eccellenze Dop e Igp di origine zootecnica: e cioè il calo vertiginoso delle superfici italiane a mais, passate da 1.197.000 ettari del 2004 a 646.000 ettari del 2017.

Importiamo mais per un miliardo di euro

In Italia non solo importiamo mais di dubbia qualità e sanità, per ben 840 milioni di euro (e presto arriveremo al miliardo), ma anche una montagna di soia tutta ogm, e così tra poco sarà davvero difficile dimostrare che i nostri animali mangiano prodotti “locali” certificati e garantiti.

Ricordate gli anni ’80, quando l’Italia era campione del mondo di produttività per il mais? Quando si veleggiava su oltre 1.600.000 ettari di superficie seminata ogni anno? Ebbene, se guardiamo le statistiche ufficiali, da almeno quindici anni i nostri maiscoltori non sono riusciti più a migliorare le rese, a differenza di altri paesi europei che migliorano in produttività, pur non disponendo come noi del mais ogm. Cosa è successo dunque?

Non rimaniamo sulla tradizione e innoviamo l’agrotecnica

Un giro d’orizzonte in Pianura Padana ci fa rispondere così: l’agricoltore, sotto il peso della volatilità dei prezzi di mercato, deluso e amareggiato, ormai gioca in difesa e ha smesso di provare nuove soluzioni agronomiche che invece potrebbero aiutarlo ad uscire dalle secche in cui si è impantanato. Anzi, in molti casi cerca di risparmiare sui mezzi tecnici, commettendo l’errore fatale. Se infatti si trascurano i fondamentali agronomici anche solo per qualche anno, la china non si risale più, oppure lo si può fare solo al prezzo di enormi sacrifici.

Chi ha voltato pagina continua a puntare sul mais

Ma per fortuna c’è ancora chi, zitto zitto, si è dato da fare, anno dopo anno ha introdotto innovazione e ora se la sta cavando bene e mantiene o aumenta la superficie a mais. Ma quale innovazione? La minima lavorazione prima di tutto, che, con un passaggio o al massimo due di attrezzi come Qualidisc e CLC di Kverneland, permette la preparazione del letto di semina con un risparmio su aratura ed erpicatura di almeno 250 euro/ha.

Il CLC di Kverneland prepara il letto di semina con uno o al massimo due passaggi su terreno ricoperto da residui e infestanti.

Negli ultimi due anni grande spazio ha occupato inoltre lo strip-till (o “lavorazione a strisce”), che permette anche l’interramento di liquami e digestati in contemporanea alla preparazione del letto di semina.

Il Kverneland Kultistrip prepara il letto di semina a strisce e contemporaneamente si semina il mais con la seminatrice Kverneland Optima HD.

La seconda innovazione fondamentale è l’uso dell’agricoltura di precisione abbinata al segnale RTK con due livelli:

  • Precisione di livello 1, che evita le sovrapposizioni o le mancate deposizioni del seme, permettendo di ottenere un seminato perfetto e omogeneo, che significa soprattutto meno stress alle piante. Risparmi notevoli di concime si ottengono con spandiconcime che chiudono le sezioni.
  • Precisione di livello 2, che significa la semina a dose variabile a seconda della fertilità delle diverse aree dell’appezzamento, che da sola comporta come minimo un aumento del reddito netto di 94 euro/ha.
La seminatrice Kverneland Optima TF Profi con sistema satellitare permette di effettuare la semina e la concimazione a dose variabile.

Fertilizzanti starter, difesa e diserbo

A queste due innovazioni si devono aggiungere le buone pratiche colturali come la fertilizzazione starter alla semina, una concimazione azotata ben rapportata al tipo di ibrido e alle caratteristiche del terreno, la difesa antipiralide e un diserbo ben congegnato, come principi attivi ed epoche sulla base delle in festanti presenti.

Senza irrigazione non si fa mais

Non dimentichiamo poi che, a parte alcune aree molto particolari del Friuli Venezia Giulia, il mais senza irrigazione non si può coltivare. Oppure si può coltivare ma correndo enormi rischi, e lo sanno bene gli agricoltori dell’Emilia-Romagna.

È inutile continuare a pensare che si può produrre mais senza irrigazione. I conti non torneranno mai.

Doppio raccolto con ibridi precocissimi

Per coloro che hanno la stalla, un’ultima raccomandazione: non dimenticate i precocissimi. Ci sono alcuni ibridi in grado di produrre tantissimo trinciato ad alta digeribilità, permettendo di fare due raccolti sulla stessa superficie.

Non dimentichiamo il mais bio

È una strada tortuosa dal punto di vista tecnico al primo o secondo anno, ma può essere una soluzione: con il mais biologico si produce meno, ma il suo prezzo di mercato è almeno triplo di quello convenzionale. E la richiesta è in aumento.

In definitiva: mettiamoci tutti d’impegno per far risalire la china al nostro buono e sano mais italiano che tutti ci invidiano.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Un commento

  • gigi

    16 Marzo 2018 at 5:02 pm

    Ma parlare e discutere almeno una volta del vero problema: il calo di fertilità dei terreni no eh ?

    Rispondi

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