No Mais: una misura molto discutibile nel nuovo PSR Friuli Venezia Giulia

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Si chiama “Diversificazione colturale per la riduzione dell’impatto ambientale” ed è la sottomisura 10.1.4 del nuovo PSR Friuli Venezia Giulia, dove si trova il capitoletto “No Mais” che prevede “la diversificazione delle colture a livello aziendale basata sulla riduzione della coltivazione del mais. I beneficiari hanno l’obbligo di non coltivare a mais più del 20% della SAU aziendale sostituendo questa coltura con altre colture, sia a ciclo autunno-vernino (per esempio cereali a paglia, foraggere o proteoleaginose) che primaverile-estivo (per esempio soia, sorgo o colture proteoleaginose), meno esigenti in termini di input colturali come fertilizzanti e fitofarmaci”.

Un doppione inutile del greening

Considerando che la nuova Pac prevede già la diversificazione colturale, la Regione Friuli Venezia Giulia, che ha nel mais uno dei suoi punti di forza insieme alla soia, poteva evitare di introdurre una misura aggiuntiva che potrebbe non fare altro che aggiungere ulteriore incertezza sul da farsi da parte degli agricoltori, i quali appaiono già abbastanza disorientati di fronte alle nuove misure europee.

Infatti chi aderirà a questa misura, a patto che la superficie oggetto dell’impegno sia stata coltivata a mais per i due anni precedenti, otterrà ben 298 euro/ha/anno per 5 o 7 anni.

Quali problematiche hanno portato a questa misura

Ma vediamo quali sono le considerazioni che hanno sollecitato i funzionari regionali a scrivere questa misura:

La presenza della coltura del mais (Zea mays) in regione si è affermata grazie alla notevole vocazionalità territoriale. La natura e la fertilità dei terreni, la diffusa disponibilità idrica e di fertilizzanti organici hanno portato all’instaurarsi in regione di un sistema agronomicamente molto efficiente, strettamente correlato con l’allevamento.
Negli ultimi anni si è riscontrato un incremento della presenza nella catena agroalimentare di diverse micotossine (metaboliti secondari prodotti dai funghi patogeni Fusarium, Aspergillus e Penicillium); presenza legata in parte all’andamento climatico e in parte alle azioni agronomiche ad alto rischio per la sviluppo delle micotossine nelle colture cerealicole con particolare attenzione al mais.
La monosuccessione del mais sui medesimi terreni, con la selezione dei parassiti, patogeni e infestanti e la conseguente più intensa attività di difesa soprattutto chimica, evidenziano necessità di rivedere la diffusione di questo sistema colturale in termini di maggior sostenibilità ambientale al fine di ridurre gli apporti di fertilizzanti e fitofarmaci a tutela dell’agroecosistema e della biodiversità.

Quali risultati sono attesi

I risultati attesi sul territorio regionale a seguito dell’applicazione degli impegni previsti nell’intervento diversificazione colturale per la riduzione dell’impatto ambientale sono i seguenti:

  • riduzione degli imput chimici: la coltura del mais necessita di elevate concimazioni azotate;
  • aumento del grado di diversificazione colturale a livello regionale: nel periodo d’impegno può avere effetti positivi sul bilancio dei nutrienti in rapporto alla concimazione, sul controllo delle infestanti sia in termini di flora emergente sia in termini di flora potenziale o seedbank, diminuendo il numero complessivo dei diserbi chimici;
  • incremento dei livelli di sostanza organica nelle SOI: la coltura del mais necessita di lavorazioni del terreno profonde, la diversificazione colturale implica lavorazioni in orizzonti diversi nella rizosfera, tale diversificazione di interventi preparatori del terreno incide positivamente sui processi di mineralizzazione e sul rilascio dei nutrienti;
  • diminuzione dell’utilizzo di acqua sulle SOI nel periodo di impegno a seguito di impiego di colture a minor fabbisogno irriguo rispetto al mais;
  • incremento dell’agro biodiversità sulle SOI;
  • maggior variabilità paesaggistica.

La priorità nell’accoglimento della domanda viene assegnata:

  1. alle zone vulnerabili ai nitrati – ZVN (ai sensi della direttiva n. 91/676/CEE);
  2. alle Aree Natura 2000, in attuazione alle direttive 2009/147/CE “Uccelli” e 92/43/CEE “Habitat”, alle Zone speciali di conservazione (ZSC), ai Siti di Interesse Comunitario (SIC) e alle Zone di Protezione Speciale (ZPS);
  3. alle domande che presentano la maggior superficie impegnata in interventi agro-climatici ambientali. La maggior superficie impegnata in regione con interventi di misura 10 garantisce una miglior performance ambientale complessiva.

I problemi non si risolvono eliminando il mais!

Gli agricoltori conoscono benissimo le problematiche relative allo sviluppo delle micotossine, così come quello delle resistenze agli erbicidi e dell’uso razionale dell’irrigazione, e adottano da tempo strategie e tecniche che puntano a minimizzare gli effetti negativi di queste problematiche, che si possono affrontare anche senza eliminare la coltura del mais, che rimane invece fondamentale per la sopravvivenza economica dell’azienda agricola e della filiera zootecnica.

La morale è: il problema, cari funzionari regionali, non si risolve con la “non coltivazione del mais”, bensì adottando le buone pratiche agronomiche che andrebbero divulgate adeguatamente anche a coloro che ancora non le adottano. Questo sarebbe un comportamento virtuoso a favore dello sviluppo del territorio!

In Friuli la rotazione non è mai stata abbandonata

È a tutti noto che gli agricoltori friulani sono da sempre grandi produttori di mais e, tranne rare eccezioni, hanno sempre espresso una buona capacità agronomica nel gestire le superfici, alternando le colture soprattutto ove si verificano problematiche che potrebbero compromettere le produzioni e la sanità dei raccolti. Inoltre è altrettanto noto che proprio il Friuli è la regione d’Italia che ha sempre mantenuto la maggiore superficie a soia del paese, anche nei momenti in cui nelle altre regioni questa coltura era pressoché sparita dopo i fasti dell’era Ferruzzi e di Raul Gardini.

In conclusione, non vi era affatto bisogno di disperdere risorse finanziare per una misura che si sovrappone in parte al greening e che – lo ripetiamo – rischia di creare solo confusione.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Un commento

  • agronomo FVG

    4 Dicembre 2015 at 6:24 pm

    Siamo oramai al paradosso senza contare poi come è scritta l’intera misura 10 AGRO-CLIMATICA-AMBIENTALE. Vengono sovvertiti i principi fondamentali di Agronomia e coltivazioni erbacee senza considerare l’innovazione recente dell’AGRICOLTURA DI PRECISIONE. Se c’è di mezzo il contributo dell’Università dell’Università mi preoccupo anche per i miei figli…

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