Non interriamo i residui colturali: sono una ricchezza per aumentare la fertilità dei suoli

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Vi siete mai chiesti perché in tutti i PSR regionali la misura 10, che finanzia minime lavorazioni e semina su sodo al posto dell’aratura, obbliga l’agricoltore a non asportare i residui colturali dopo che una coltura è stata raccolta? Il motivo risiede nel ruolo fondamentale che hanno i residui nel proteggere il suolo e migliorarne la fertilità, consentendo quindi di abbandonare, senza danni, le lavorazioni tradizionali.

Una preziosa pacciamatura naturale che dà vita al suolo

I residui, per esempio la paglia del cereale vernino e lo stocco del mais, sono una pacciamatura naturale che protegge il terreno da sole, vento e pioggia e riduce sensibilmente le perdite di acqua per evaporazione.

I residui lasciati in campo, rispetto a un suolo lavorato, ostacolano lo sviluppo delle infestanti e aumentano la portanza del terreno, con la conseguente minore suscettibilità, in aumento anno dopo anno, al compattamento – fattore che favorisce il passaggio di attrezzature per concimare e diserbare anche quando le condizioni climatiche non sono ideali.

L’altro grande pregio dei residui risiede nel ruolo di fonte alimentare per i microrganismi che vivono nel suolo e che grazie ai residui aumentano la loro presenza e il loro lavoro di decomposizione, incrementando il tasso di sostanza organica.

Lasciare in campo i residui (e pensare che in alcune aree del sud ancora li bruciano!) vuol dire rifornire il terreno di fertilità chimica e biologica.

I residui colturali alimentano la microfauna del suolo, quindi contribuiscono a dare vita al terreno coltivato e ad aumentarne progressivamente la fertilità chimica e fisica.

I residui vanno gestiti bene per evitare alcuni inconvenienti

Come sempre c’è anche in questo caso il rovescio della medaglia, cioè alcuni problemi collegati alla presenza del residuo in campo che vanno opportunamente gestiti.

Prima di tutto va evitato, in fase di raccolta delle colture, il fenomeno dell’accumulo eccessivo di residuo in strati spessi e disomogenei lungo l’ampiezza del campo. È bene seguire la semplice regola che il residuo deve degradarsi lentamente ma non marcire, e quindi deve essere stato già degradato quando entra in campo la nuova coltura. Per ottenere questo obiettivo, è buona norma avvicendare le colture e utilizzare anche le colture di copertura (cover crops) in modo da avere residui di anno in anno con caratteristiche diverse.

L’avvicendamento delle colture, oltre a essere conveniente dal punto di vista economico, è alla base della corretta gestione agronomica dei terreni.

Anche il temuto effetto indesiderato di costituire un inoculo per i funghi tossigeni viene ridotto sensibilmente se il residuo è ben gestito in termini di quantità e di omogenea distribuzione su tutta la superfice del suolo. A questo proposito, è essenziale che le mietitrebbie siano dotate di spargipula e spargipaglia.

Lo spargipula, insieme allo spargipaglia, è un elemento fondamentale delle mietitrebbie perché favorisce l’omogenea distribuzione dei residui sul terreno, evitando un eccessivo accumulo in masse difficili da gestire in fase successiva di lavorazione minima o semina su sodo.

Un ultimo aspetto importante riguarda l’azione dei microrganismi, che sono il motore della velocità di degradazione dei residui colturali. In questo caso è consigliato l’uso di bioattivatori del suolo (già utilizzati con successo da tanti agricoltori) costituiti da un mix di batteri, lieviti, funghi. Si tratta di una pratica molto utile che dovrebbe rientrare nella routine della gestione agronomica di ogni azienda che desidera migliorare la fertilità dei propri terreni. Che in definitiva significa, nel medio periodo, aumentare le rese e quindi i ricavi.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


2 commenti

  • Juri

    11 Luglio 2018 at 3:45 pm

    Buongiorno
    Che problemi potrebbe dare la paglia di un orzo leggermente interrata in una semina di soia di secondo raccolto ?

    Rispondi

    • Roberto Bartolini

      17 Luglio 2018 at 2:38 pm

      Buongiorno Juri. La soia di secondo raccolto si può seminare sia su sodo (cioè direttamente sulle paglie di grano od orzo) sia su minima lavorazione (cioè con interramento a 15 cm delle paglie). Problemi non ne vediamo in nessuno dei due casi.

      Rispondi

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