Se l’UE ha promosso il vaccino anti-Covid, deve anche togliere il veto alle piante biotech
Tutti pronti per iniettarsi i vaccini contro il Covid-19? Lo sapete che ci inoculeremo, almeno con i primi che arrivano, un pezzo di RNA messaggero che ordinerà al nostro patrimonio genetico di produrre la famosa proteina che annienta il virus? Detta molto semplicemente, diventeremo un po’ biotech anche noi umani, compresi quelli che da anni combattono l’ingegneria genetica applicata alle colture, e non solo quella ormai sorpassata degli ogm, ma anche la nuova frontiera della cisgenesi e della genome editing, recentemente premiata con il Nobel.
Chissà, per esempio, se anche la presidente di Federbio Maria Grazia Mammuccini, la quale ha affermato che «il mondo del bio ribadisce di escludere dai propri sistemi di produzione non solo gli ogm, ma anche i prodotti derivanti dalle nuove biotecnologie», per doverosa coerenza rifiuterà di assumere anche i vaccini anti-Covid?
Sarebbe opportuno che, senza perdere altro tempo, in sede Ue e poi anche dalle parti del nostro traballante governo (ma poi ne sanno qualcosa di agricoltura e di piante biotech, in consiglio dei ministri e in parlamento?) qualcuno ponesse seriamente la questione: festeggiamo la scienza che ci salva dalla pandemia, ma allo stesso tempo rifiutiamo la scienza se ci permette di rendere una pianta resistente alla siccità o ai parassiti, oppure in grado di farle produrre in maggior quantità o in diversa proporzione sostanze importanti per la nostra salute?
A questo punto occorre davvero fare un bel salto culturale anche in campo agricolo, per consentire ai nostri agricoltori di utilizzare finalmente quelle innovazioni genetiche che possono aumentare in maniera considerevole la redditività delle coltivazioni. Di tutte le coltivazioni, sia le convenzionali che le biologiche, a patto che i suoi sostenitori si tolgano una buona volta la benda dagli occhi.