Agricoltura, cosa seminare in autunno: grano tenero o duro? Facciamo i conti

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Si tratta di uno dei dilemmi eterni degli agricoltori italiani: seminare grano tenero o grano duro? Se al sud la scelta è obbligata, cioè ricade sul duro, al centro e al nord Italia l’ambiente permette di ottenere risultati interessanti con entrambe le colture.

Ma come comportarsi alla luce degli altalenanti prezzi di mercato? Gabriele Chiodini, in un recente articolo sull’Informatore Agrario, suggerisce la risposta partendo dall’andamento storico dei prezzi di tenero e duro.

Si è ridotto il differenziale di prezzo in quattro anni

La differenza di prezzo tra i due prodotti è passata da 170 euro/t a favore del duro nel 2014 ad appena 3 euro/t del maggio 2018.

Analizziamo ora costi, ricavi e reddito per grano tenero e duro prendendo come riferimento il centro Italia.

Costo di coltivazione

Con una tecnica spinta, il costo di produzione del grano tenero è di 980 euro/ha e per il grano duro di 972 euro/ha.

Ricavi

Tenendo conto dei prezzi medi degli ultimi sei mesi, otteniamo:

  • Grano tenero: resa 6,2 t/ha x 191,45 euro/t = 1187 euro /ha
  • Grano duro: resa 5,5 t/ha x 207,01 euro/t = 1139 euro/ha

Reddito

Per il grano tenero il reddito, sottratti i costi, si attesta su 207 euro/ha, mentre per il grano duro si arriva a 166 euro/ha, ma in questo caso aggiungiamo il premio previsto dai pagamenti diretti dell’art. 52 e così si arriva a 247 euro/ha.

I buoni consigli per il grano tenero e il grano duro

La differenza di redditività, sostiene Chiodini, non è molto rilevante, quindi solo l’ottimizzazione dei fattori produttivi e degli sbocchi commerciali sono i parametri chiave per capire quale strada imboccare. Ecco cosa significa ottimizzare:

  • Introdurre nel percorso colturale i sistemi dell’agricoltura di precisione, che consentono un risparmio di mezzi tecnici, evitando le sovrapposizioni nella distribuzione, di almeno un 10-20%.
  • Introdurre i sistemi a basso impatto, come le produzioni integrate, biologiche e le lavorazioni conservative che beneficiano dei premi PSR.
  • Utilizzare varietà che permettano di valorizzare il raccolto.
  • Siglare contratti di coltivazione per produrre ciò che chiede il trasformatore e usufruire delle premialità previste.

Al nord le prospettive di reddito non giustificano la sostituzione del grano tenero con il duro, dal momento che in queste regioni non è previsto il premio accoppiato. C’è però il “Fondo grano duro” per coloro che sottoscrivono un contratto di coltivazione per tre anni e, anche se l’importo erogato a fine campagna dipende dal numero di domande presentate, circa 200 euro/ha si dovrebbero portare a casa. Per il limite dei 50 ettari di superficie seminata e per un importo massimo di 15.000 nei tre anni di contratto.

Qualunque sia la scelta che farà l’agricoltore, una cosa è certa: occorre ottimizzare i percorsi colturali, da un lato sposando la minima lavorazione o il sodo per abbattere una buona parte dei costi e dall’altro adottando piani di concimazione e di difesa che permettano alle nuove varietà di esplicare al massimo i loro potenziali di produttività e di qualità.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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