Roberto Bartolini30 Marzo 201811min14672

Cereali: seme aziendale o seme certificato? Le risposte di Assosementi alle critiche degli agricoltori

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Il nostro recente articolo “Risparmiare con il seme aziendale? Una scelta errata e che fa male all’ambiente” ha provocato decine di commenti infuocati sulla nostra pagina Facebook, la maggior parte dei quali corrispondono a critiche molto aspre nei confronti delle società sementiere, che vengono accusate di speculare ingiustamente alle spalle dei coltivatori con i prezzi esorbitanti delle sementi certificate poste in commercio, quando invece il seme autoriprodotto in azienda offre le medesime performance e con costi molto ridotti per il coltivatore.

Per questo ci siamo rivolti ad Assosementi, l’organizzazione di categoria che rappresenta i costitutori di varietà e le aziende produttrici e distributrici di sementi in Italia, per andare oltre la polemica spicciola e fornire risposte concrete che si fondano sui numeri e sulle evidenze tecnico-agronomiche.

Partiamo dunque dai numeri, con il confronto tra i costi di produzione per ettaro del seme certificato (tabella 1) e i costi di produzione per ettaro del seme autoriprodotto dall’agricoltore nella sua azienda (tabella 2) per grano duro, grano tenero e orzo. I dati corrispondono a valori medi di mercato e sono da intendersi come puramente indicativi.

 

Il costo del seme certificato

Tabella 1: costo produzione/ettaro del seme certificato.
(1) Quotazione AGER Bologna media mese di ottobre 2017 (fonte); Frumento tenero di produzione nazionale 2017 – n° 1 – speciali di forza – prot. 13,5% min, p.s. 80 kg/hl, c.e. 1%. Frumento duro di produzione nazionale nord 2017 – fino – prot. 13% min, p.s. 79 kg/hl min, c.e. 1+1%, bianc. 25/30%, volp.7%. Orzo – p.s. 65 e oltre.

Nella tabella 1, prendendo a riferimento il grano duro, la prima voce del costo di 48,90 euro comprende:

  • Quotazione della granella riferita alla media del mese di ottobre (fonre: AGER – Borsa merci di Bologna)
  • Premio per il moltiplicatore
  • Costo della concia
  • Costo della certificazione ufficiale CREA-DC
  • Trasporto, selezione, confezionamento, margine di guadagno per la società sementiera, eccetera
  • Royalties, cioè il compenso per l’attività di costituzione che garantisce la continua disponibilità di nuove varietà migliorate

A questa prima voce si deve aggiungere un ricarico medio del 15-16% relativo alla rete di distribuzione e così si arriva a 56,24 euro, che è il costo medio al quintale del seme certificato di grano duro che acquista l’agricoltore. Il costo finale per ettaro è di 118,10 euro, che corrisponde al costo di 2,1 ql/ha di semente certificata.

 

Il costo del seme riprodotto in azienda

Tabella 2: costo produzione/ettaro del seme autoriprodotto.
(1) Quotazione AGER Bologna media mese di ottobre 2017 (fonte); Frumento tenero di produzione nazionale 2017 – n° 1 – speciali di forza – prot. 13,5% min, p.s. 80 kg/hl, c.e. 1%. Frumento duro di produzione nazionale nord 2017 – fino – prot. 13% min, p.s. 79 kg/hl min, c.e. 1+1%, bianc. 25/30%, volp.7%. Orzo – p.s. 65 e oltre.

Nella tabella 2, sempre prendendo a riferimento il grano duro, si vede che il costo del seme autoriprodotto dall’agricoltore è pari a 39,4 euro/ql e comprende le seguente voci:

  • Costo della granella: 22,4 euro
  • Costo della concia: 4 euro
  • Costo della selezione eseguita in azienda dall’agricoltore o da terzi: 13 euro

Il costo a ettaro per il grano duro, in questo caso, è pari a 94,60 euro, che corrisponde al costo di 2,4 quintali di seme, una dose leggermente superiore a quella del seme certificato ma che corrisponde alla media utilizzata dagli agricoltori che usano seme autoriprodotto.

Una differenza irrisoria che non giustifica la scelta

La differenza di costo tra un seme certificato e garantito rispetto a un seme aziendale è di 24 euro per il grano duro (cioè l’1,9% del costo di produzione totale per ettaro), 18 euro per il grano tenero (cioè l’1,7%) e 17 euro per l’orzo (cioè l’1,6%). Si tratta dunque di un risparmio irrisorio e ben inferiore a quello stimato dagli agricoltori che ci hanno scritto i loro commenti, su un costo totale di produzione che per il frumento duro è mediamente di 1200 euro/ha, per il frumento tenero di 1084 euro/ha e per l’orzo di 1068 euro/ha. Si tratta inoltre di un risparmio del tutto ipotetico, dato che non si conosce la produzione che lo stesso appezzamento avrebbe ottenuto utilizzando seme certificato.

L’agricoltore deve fare bene i conti

«L’agricoltore – afferma Alberto Lipparini, segretario Assosementi – a volte non fa bene i conti sul seme autoriprodotto in azienda, sottostimando il costo della sua manodopera oppure della selezione e del trattamento del seme, che viene realizzata prezzo la sua azienda e che è un’operazione indispensabile. Inoltre, quando afferma che i suoi livelli produttivi, utilizzando solo il seme aziendale, sono soddisfacenti, non ha il paragone della produzione e della qualità in più che potrebbe ottenere se utilizzasse il seme certificato e garantito, senza contare il vantaggio di potere accedere, nel caso di sottoscrizione con soggetti della filiera grano duro, a un premio di 200 euro/ettaro».

«Tornando ai numeri poc’anzi presentati – prosegue Lipparini – per il grano duro, ad esempio, basterebbe una produzione maggiore di 1,5 q/ha agli attuali costi della granella per rendere antieconomico l’utilizzo del seme autoriprodotto».

Le società sementiere sono protagoniste dell’innovazione vegetale

«Teniamo conto che le società sementiere non producono solo seme – conclude Lipparini – ma investono risorse importanti nel miglioramento genetico e nell’innovazione vegetale, che negli ultimi decenni ha portato a un formidabile aumento del potenziale produttivo delle nostre colture, con vantaggi economici molto rilevanti per gli agricoltori. Si tratta di società che non godono di finanziamenti, ma vivono grazie al mercato e di questo l’agricoltore dovrebbe tenerne conto quando muove critiche feroci alle società sementiere».

All’estero per il seme aziendale si paga un contributo obbligatorio

«Alcuni commenti hanno inoltre riguardato il sistema sementiero francese», aggiunge Franco Brazzabeni, presidente della sezione cereali di Assosementi. «In Francia viene impiegato seme autoriprototto in azienda, è vero, ma il sistema adottato dalla filiera produttiva francese prevede che l’agricoltore versi un contributo volontario obbligatorio (il cosiddetto CVO) che viene ridistribuito su tutta la filiera per finanziare la ricerca genetica. Tutta la filiera quindi contribuisce a sostenere la ricerca, e tutta la filiera beneficia dei risultati: non è un caso che in Francia si investa molto di più in ricerca rispetto all’Italia e i risultati sono sotto gli occhi di tutti».

Le regole ci sarebbero anche per l’Italia

«Per tornare in Italia – evidenzia infine Stefano Conti, responsabile delle sezioni Cereali e Costitutori di Assosementi – l’agricoltore spesso dimentica che per una produzione aziendale oltre le 92 tonnellate di cereali, limite che identifica il “piccolo agricoltore”, se utilizza seme aziendale di una varietà tutelata da privativa vegetale UE è tenuto comunque a pagare una royalty ridotta al costitutore. Questo, almeno, prevedono le disposizioni comunitarie, che tuttavia vengono regolarmente disattese. Sui materiali coperti invece da privativa nazionale, la suddetta deroga a favore dell’agricoltore non trova applicazione».

«Vorrei concludere con un’ultima annotazione – aggiunge Conti – Il seme certificato non è una risorsa economica esclusiva dei sementieri, bensì una preziosa risorsa per tutta la filiera, dagli agricoltori ai trasformatori e ai consumatori, per il contributo fondamentale che offre in termini di qualità, sanità, redditività e tracciabilità. E non è un caso che i contratti di coltivazione e di filiera pongano come obbligo per l’agricoltore l’uso del seme certificato».

Da destra a sinistra: Alberto Lipparini, Franco Brazzabeni, Roberto Bartolini e Stefano Conti.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


2 commenti

  • Roberto Neri

    4 Aprile 2018 at 9:11 am

    Complimenti un buon lavoro chiaro e comprensibile facciamolo girare sui media

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  • Semex

    31 Luglio 2019 at 9:43 am

    Peccato che la realtà è tutt’altra
    Seme aziendale:
    – Scelta del campo migliore;
    – Costo della granella 22,40
    – Selezione del seme 4,00
    – Concia NO
    – Scarto rivenduto con la massa del grano, come fanno tutti i cementieri.

    Totale Costo reale del seme aziendale e senza inquinare l’ambiente 26,40x 2,20 = 58,08 (costo ettaro).

    Inoltre il seme è sano, omogeneo e migliore della seme comprate dal sementiere proprio perché viene scelto il campo migliore e più sano, ciò che no farà mai un sementiero poiché pensa a produrre utili e non il miglio seme.

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