Con aratura ed erpicatura, i terreni agricoli sono sempre meno fertili

La carenza di sostanza organica nei terreni agricoli è una delle più preoccupanti emergenze ambientali che coinvolgono i suoli coltivati di mezzo mondo, e quindi anche dell’Italia. Se ne sono accorti persino i funzionari di Bruxelles che scrivono la Pac (Politica agricola comune), mentre gran parte dei nostri agricoltori continua a fare spallucce come se il problema non li riguardasse.

L’emergenza non l’ha inventata l’Europa
L’attuale Pac, con la Misura 10 “Agroambiente” che è presente in tutti i Piani di sviluppo rurale regionali, finanzia con centinaia di euro per ettaro gli agricoltori che si impegnano per più anni ad abbandonare l’aratura per convertirsi a minima lavorazione, strip-till e sodo, nonché alla semina delle cover crops (in una parola, coloro che si dedicano all’agricoltura conservativa e sostenibile).
Questa misura è stata varata, e sarà confermata anche nella prossima Pac, non certo perché ai funzionari di Bruxelles stanno antipatici gli aratri. Al contrario, la motivazione sta proprio nel danno provocato da decenni di lavorazioni intensive dei terreni agricoli, con più passaggi di aratura, erpicatura ed estirpatura per portare il suolo a quell’affinamento tipo “tavolo da biliardo” che è il solo che appaga l’occhio del nostro agricoltore. Purtroppo, molti contadini non vogliono vedere zolle, erba e residui colturali in superficie, quasi fossero il diavolo! E invece, sono la salvezza per il suolo che anno dopo anno ha perso la sua fertilità.

Perché non si devono interrare i residui colturali
Alla maggior parte degli agricoltori, interrare con l’aratura il residuo colturale appare il modo migliore per tesaurizzarlo, perché lo si toglie dalla superficie e quindi si evitano i processi di ossidazione. Ma se i residui si interrano, si va incontro a due fenomeni negativi:
- Si espone all’aria una grande massa di terreno, quella con un po’ più di humus, provocandone l’ossidazione e quindi una perdita inevitabile di fertilità.
- Si allontana il residuo colturale dallo strato superficiale dove i microrganismi del suolo operano i processi di umificazione, i quali non avendo più nulla da mangiare in breve tempo spariscono (lombrichi compresi).
Non c’è dubbio che l’aratura sia la panacea annuale per tutti i mali, in particolare nei terreni costipati, pieni di profonde ormaie e calpestati senza alcun riguardo. Con un bel passaggio di aratro, si annullano tutti i difetti e si volta pagina. Ma alla vitalità del suolo non ci pensa nessuno?
Il passaggio alle nuove lavorazioni richiede alcune mosse
Passare dalle lavorazioni tradizionali alla minima, allo strip-till e al sodo comporta una rivisitazione dei percorsi agronomici da adottare soprattutto nella direzione di:
- Allargare la rotazione delle colture.
- Ridurre il compattamento del suolo con la diminuzione dei passaggi in campo e facendo grande attenzione in fase di raccolta, esigendo che il contoterzista di turno adotti cingoli o ruote gemellate o penumatici galleggianti a bassa pressione e a larga sezione, tenendo in cappezzagna i carri di raccolta (fatta eccezione ovviamente per chi fa silomais!).
- Gestire bene i residui colturali, spargendoli in maniera omogenea sulla superficie del terreno.
- Seminare ogni anno le cover crops o colture di copertura (si veda a tal proposito il nostro articolo che spiega cosa sono le cover crops).



Con la riduzione quasi certa del valore dei pagamenti diretti Pac a partire dal 1° gennaio 2022 (vedi notizia), agli agricoltori che non lo hanno ancora fatto, non rimarrà che fare bene i conti, sfruttando al meglio le misure dei Psr che continueranno a premiare coloro che adottano le lavorazioni conservative, le cover crops e l’agricoltura di precisione. La strada è già ben chiara e le tecnologie ci sono tutte (da acquistare o rivolgendosi ai contoterzisti): non rimane che voltare pagina una volta per tutte.

Roberto Bartolini
Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.
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Certo questo detto è tutto vero io lo faccio da vari anni. Però la Puglia non finanzia niente. Solo sodo. Io che faccio minima lavorazione(conservativa) non tengo diritto? Solo perché sto in Puglia. In più zona svantagiata.