Dall’agronomo burocrate all’agronomo smart: il ”grillo parlante” dell’imprenditore agricolo

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In agricoltura è un passaggio complicato quello che va dalla tradizione all’innovazione, perché implica un cambio radicale di mentalità e sappiamo quanto in campagna sia difficile abbandonare i riti del passato. Eppure dobbiamo impegnarci tutti a supportare gli agricoltori nell’applicare presto e bene il cambiamento, perché il mercato di oggi non ammette tentennamenti.

Agronomi, abbandonate le scrivanie e scendete in campo

Quindi è più che mai necessario che scendano in campo gli agronomi, che devono abbandonare le loro scrivanie dove oggi fanno per lo più i burocrati, senza contribuire allo sviluppo e all’innovazione. Ma quale agronomo ci occorre oggi? Lo facciamo dire ad Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia, che si è recentemente espresso al riguardo con un editoriale su Terra e Vita: «Occorre un agronomo smart, così come deve essere l’agricoltura: intelligente, innovativa, veloce, furba, brillante, sveglia, etica e sostenibile, che produce alimenti di alta qualità e sicuri, tutela il territorio, guarda al mercato e utilizza il meglio della tecnologia digitale. Siamo nell’era della tracciabilità dal campo alla tavola, della valorizzazione massima del prodotto raccolto e della massima salvaguardia di suolo, aria e acqua».

Dunque tutto il passato è da buttare? «Assolutamente no», prosegue Frascarelli. «L’agricoltura che fa reddito è un mix di tradizione e innovazione, di naturalità e di robotizzazione, di salute e di intelligenza artificiale, di biodiversità e di ingegneria genetica».

L’agronomo deve diventare il coach dell’imprenditore

La cosa può sembrare molto complicata: come fa l’agricoltore, da solo nella sua piccola o media azienda, a realizzare questi percorsi suggeriti da Frascarelli? «L’agricoltore deve essere affiancato dall’agronomo smart, il “grillo parlante” dell’imprenditore, una sorta di sua coscienza critica che individua, sulla base di dati oggettivi, la fattibilità di nuovi progetti, lo aiuta negli investimenti, svolge analisi tecniche, individua sbocchi di mercato».

Stiamo parlando di un consulente a tutto tondo? «Direi di no – prosegue l’agronomo – piuttosto di un vero e proprio coach dell’imprenditore che si immedesima e rischia con lui. Deve essere un professionista sempre in movimento e in contatto con centri di ricerca, imprese fornitrici di mezzi tecnici, in collegamento costante con i mercati e i satelliti. L’agronomo smart deve reperire tanti più dati possibile per ciascun ettaro coltivato e deve supportare l’imprenditore nelle sue decisioni tramite i cosiddetti DSS, Decision Support System. Le informazioni georeferenziate da piattaforme satellitari e droni richiedono un agronomo con notevole abilità informatica, non basta saper redigere il registro dei fitofarmaci, i piani di utilizzazione agronomica dei digestati, le domande Pac e via dicendo».

Occorre un piano formativo nazionale

Non c’è dubbio che il quadro tracciato da Frascarelli corrisponda alla realtà, quindi a nostro avviso potenzialmente si spalancano le porte per tanti nuovi posti di lavoro destinati agli agronomi smart, non di vecchio stampo. E qui sta il vero problema: quanti agronomi smart pronti all’uso, affidabili e professionali, abbiamo oggi a disposizione? Bisogna che qualcuno lassù, nei dorati palazzi del potere, ci cominci a pensare un po’ mettendo a punto un serio piano nazionale di formazione, altrimenti perderemo l’ennesimo treno del progresso.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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