Grano duro, boom dei contratti di filiera: un successo del lavoro di squadra

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Alla faccia del “chi fa da sé fa per tre”… direbbe Totò! La migliore risposta a coloro che continuano a gufare contro i contratti di filiera grano duro-pasta è nei numeri presentati in pompa magna alla Camera dei deputati dai rappresentanti del protocollo d’intesa “grano duro-pasta”: in due anni, 2017-2019, il numero dei contratti è passato da 6 mila a oltre 12 mila ed è raddoppiata la superficie agricola interessata all’accordo, raggiungendo i 200.000 ettari (pari al 15% dell’intesa superficie agricola nazionale a grano duro).

Grano duro 100% italiano, la dicitura che fa la differenza

Da questo accordo provengono oltre 700 mila tonnellate di grano duro prodotto nel nostro paese, per fare semole adatte alla pasta che sullo scaffale si fregia della dicitura “100% grano duro italiano”. Questa dicitura ha dimostrato negli ultimi anni di essere particolarmente apprezzata e ricercata dal consumatore, che è disposto a pagare due-tre volte in più rispetto a un pacco di pasta senza la dicitura “made in Italy” del grano duro. E questa decisa propensione all’italianità e all’alta qualità ha fatto sì che, per esempio, la nota pasta Barilla, prodotta con una miscela di grano italiano ed estero, sia stata penalizzata sugli scaffali della GDO rispetto a marchi come La Molisana, Rummo, Armando, Granoro e Voiello, la marca premium di proprietà Barilla.

Perché i contratti di coltivazione sono vantaggiosi

Non c’è dubbio che per l’agricoltore che soffre l’alta volatilità dei prezzi del grano oggi ci sono grande opportunità per fissare in pre-campagna un prezzo minimo stabilito e una scala di premialità se si raggiungono determinati obiettivi qualitativi. Molti agricoltori però ancora oggi storcono il naso e non si vogliono legare a un prezzo prefissato al buio, preferendo giocare d’azzardo sul mercato libero che dopo parecchi anni di magra, solo quest’anno ha visto schizzare in alto il prezzo del grano duro.

I conti non possono essere fatti da un anno all’altro

Ma come abbiamo sempre scritto, l’agricoltore per valutare la convenienza dei contratti di coltivazione li deve giudicare nel medio-lungo periodo, cioè sui 7-12 anni, e si renderà conto che su queste basi, e non sulla valutazione di mercato di uno, due o tre anni, i contratti aumentano la redditività del grano duro coltivato. Inoltre, partecipare alla filiera grano-pasta significa sottostare ai disciplinari di produzione e questo non può che far bene ai nostri cerealicoltori che non sempre fanno le giuste scelte. Non solo per quanto riguarda le varietà da seminare, che devono essere quelle gradite ai mulini e ai pastai (e non solo all’agricoltore!), ma anche il piano di concimazione, di diserbo e di difesa.

Il contratto eleva la competenza agronomica di chi coltiva

Dunque il contratto di coltivazione eleva anche la professionalità tecnica del cerealicoltore, aprendogli la strada verso l’innovazione agronomica e tecnologica di cui la nostra cerealicoltura ha tanto bisogno. E poi il progetto “grano duro-pasta”, grazie alla collaborazione con l’Università della Tuscia, presto si doterà di una piattaforma digitale per far accedere gli agricoltori che sottoscrivono i contratti a una serie di informazioni in tempo reale relative alla loro area di coltivazione e alle necessità delle colture. Un piano di digitalizzazione indispensabile per mettere in rete tutti i protagonisti della filiera e farli dialogare, per raggiungere un obiettivo comune: fare qualità e possibilmente guadagnarci tutti.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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