I ricercatori universitari sono troppo lontani dai bisogni degli agricoltori
«È almeno dalla fine della Prima Repubblica che l’Italia ha un problema di classe dirigente, della sua debolezza/assenza». Così inizia un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere della Sera qualche giorno fa, che denuncia il progressivo crollo qualitativo che si è avuto in Italia, soprattutto nella classe dirigente politica. Abbiamo l’impressione che la stessa identica cosa sia avvenuta sul versante della ricerca universitaria e in questa occasione ci preme concentrarci su quella che afferisce alle scienze agrarie (o la gloriosa facoltà di agraria, come si chiamava negli anni settanta, tanto per intenderci).
Quando parliamo di qualità non pensiamo ai temi di ricerca in generale, bensì al modo con il quale la ricerca agraria italiana risponde, o meglio non risponde, ai reali e cogenti bisogni di informazione e formazione dell’agricoltore.
Agricoltura di precisione, un’occasione mancata
Un ultimo esempio che rafforza questa nostra impressione, o meglio convinzione, che nutriamo ormai da parecchi anni, ci viene da un convegno online che abbiamo seguito qualche giorno fa dal titolo “Agricoltura di precisione per un uso efficiente delle risorse” nell’ambito del progetto Mental finanziato dalla misura 1.2.01 del Psr della Regione Lombardia: nove relazioni in una mattinata, per una durata complessiva di circa tre ore e mezzo.
Il tema è talmente di attualità e strategico per il futuro economico della nostra agricoltura, che le iscrizioni al seminario si sono esaurite molto in fretta, dunque le aspettative erano molto alte, anche per la provenienza dei relatori: Università di Milano, Crea di Treviglio, Università la Bicocca, Università di Padova, Crea di Lodi, Università di Bologna. Noi che pestiamo terra tutte le settimane e che frequentiamo agricoltori e contoterzisti di diverse regioni d’Italia, e quindi conosciamo bene le risposte o almeno le indicazioni operative che si aspetterebbero dai nostri ricercatori, diciamo che abbiamo assistito a esposizioni sì contenute nei tempi, per fortuna, ma assolutamente prive di quelle informazioni utili e pratiche che l’operatore si aspettava.
I ricercatori abitano in un’altra galassia
Il mondo della ricerca universitaria continua a essere come sospeso su un’altra galassia e va avanti per proprio conto, sfiorando appena alcuni dei nodi operativi e decisionali oggi più significativi, che gli agricoltori si trovano a dover sciogliere con tante difficoltà e senza molto aiuto, tutti i giorni nei loro campi. I relatori, tra l’altro con scarso mordente espositivo (per favore, prendete almeno esempio dai vostri colleghi esteri!), impegnano oltre la metà del tempo a loro disposizione per descrivere in maniera alquanto contorta ogni particolare più minuto dei cosiddetti “materiali e metodi” del tema di ricerca, per giungere poi a conclusioni che ci lasciano sempre in sospeso, almeno per quanto concerne la trasferibilità nell’azienda agricola, e che necessitano comunque di ulteriori approfondimenti.
Qua e là abbiamo spesso sobbalzato per alcune affermazioni, come per esempio nella prova di distribuzione di liquami con il Varveat, una tecnologia altamente innovativa dotata di Nir, che è stata utilizzata “a volume” e non in base al contenuto di azoto del liquame. Inoltre è stato detto che il rateo variabile con il Varveat ad alti volumi di spandimento ha funzionato, mentre non è andato bene quando operava a volumi bassi. Si è anche parlato molto di droni per modulare le concimazioni e per la lotta alle infestanti, ma vorremmo sapere da un agricoltore all’ascolto se per caso è riuscito a capire se oggi ha la possibilità pratica di applicare questi sistemi nella sua azienda.
Agricoltori e contoterzisti, arrangiatevi come sempre!
Ancora una volta, dopo decenni di discussioni, ci troviamo al cospetto di un mondo della ricerca che non vuole saperne di scendere dal suo scranno eburneo e mettersi al livello dell’imprenditore agricolo, che non può sottrarre tre ore al suo lavoro per non portare nulla di utile e di concreto a casa. In conclusione abbiamo assistito a un evento che probabilmente ha interessato i ricercatori e gli studenti, ma sicuramente non ha fornito alcuna indicazione agli operatori, che sono proprio coloro che hanno più bisogno di informazione e formazione. Inoltre, paradosso nel paradosso, uno dei relatori della mattinata ha affermato solennemente: «Oggi alla maggior parte di coloro che operano in campo manca una seria preparazione professionale sull’agricoltura di precisione». Bravi, bene, bis!
2 commenti
Domenico Pessina
17 Giugno 2020 at 9:15 pm
Egr. Dott. Bartolini,
ho letto con attenzione il suo articolo sui ricercatori universitari che sarebbero troppo lontani dai “bisogni” degli agricoltori.
Ho notato un’ingiustificata “acredine” verso la categoria (a cui appartengo),quasi che avesse qualche questione personale irrisolta.
Lascio perdere la descrizioni del convegno a cui ha assistito, commentata con tono a tratti canzonatorio, e mi soffermo (anche per essere breve, cosa che lei dimostra di apprezzare oltremodo…) sull’ultimo periodo del suo pezzo: “Ancora una volta, dopo decenni di discussioni, ci troviamo al cospetto di un mondo della ricerca che non vuole saperne di scendere dal suo scranno eburneo e mettersi al livello dell’imprenditore agricolo, che non può sottrarre tre ore al suo lavoro per non portare nulla di utile e di concreto a casa. In conclusione abbiamo assistito a un evento che probabilmente ha interessato i ricercatori e gli studenti, ma sicuramente non ha fornito alcuna indicazione agli operatori, che sono proprio coloro che hanno più bisogno di informazione e formazione. Inoltre, paradosso nel paradosso, uno dei relatori della mattinata ha affermato solennemente: «Oggi alla maggior parte di coloro che operano in campo manca una seria preparazione professionale sull’agricoltura di precisione». Bravi, bene, bis!”
Innanzitutto, qualsiasi generalizzazione basata sull’ascolto di un solo convegno mi sembra fuori luogo (mi riferisco al titolo roboante) ma, successivamente, non crede, Dott. Bartolini, che la ricerca, proprio perchè tale, va ad esplorare ciò che ancora non si sa, e che quindi ha bisogno, poi, di appropriati “divulgatori” che, di volta in volta possono essere i costruttori, gli agronomi, i tecnici del settore e, non ultima, l’editoria specializzata, di cui lei è stato membro autorevole per così tanti anni?
Mi piacerebbe approfondire ulteriormente l’argomento con lei, Dott. Bartolini, se lo ritiene opportuno e proficuo ma, la prego, per il futuro eviti di generalizzare affrettati giudizi tranchant su un’intera categoria…
Cordialmente
Prof. Domenico Pessina
Roberto Comolli
22 Giugno 2020 at 10:50 pm
Caro dott. Bartolini,
siamo stati onorati della sua presenza al nostro convegno di chiusura del progetto MeNTAL; non possiamo però dire altrettanto della sua recensione. Abbiamo colto nell’articolo la sua scarsa considerazione per il lavoro dei ricercatori, ma pensiamo che, invece di limitarsi a una lamentela tardiva, sarebbe stato più proficuo intervenire al convegno ponendo domande o fornendo stimoli o critiche, così come hanno fatto diversi degli oltre 200 partecipanti. Ovviamente non contestiamo la sua facoltà di esprimere giudizi negativi: li riteniamo però molto discutibili, nella forma e nella sostanza. In merito alla distribuzione dei liquami, ad esempio, la nostra scelta di lavorare a volume, che lei stigmatizza, non è dovuta a impreparazione o faciloneria, quanto piuttosto alla conoscenza del forte margine di errore del sensore NIR, da noi verificata.
I motivi per i quali l’agricoltura di precisione in Italia stenta a decollare sono molti: scarsa conoscenza delle possibilità tecniche; limitati incentivi pubblici; solo lievi benefici economici, benché a fronte di sicuri benefici tecnici e ambientali. Ed è difficile negare (non diciamo niente di nuovo) che la preparazione professionale in questo ambito sia molto scarsa (lo stesso Parlamento Europeo lo afferma nel suo più recente studio a riguardo): anche noi ogni tanto lasciamo il nostro “scranno eburneo” e andiamo nelle aziende; e il “pestare terra”, per chi di mestiere fa il pedologo o il ricercatore agronomo, è il lavoro quotidiano e qualcuno di noi, avendo un’azienda agricola, sale sul trattore tutte le settimane.
Come affrontare il problema? Sembra che lei ritenga che il trasferimento tecnologico debba essere realizzato completamente dai ricercatori. A nostro avviso, invece, i ricercatori devono svolgere un altro lavoro (e in questo progetto l’hanno fatto, operando in collaborazione con diversi protagonisti della filiera, applicando tecnologie esistenti con approcci che le hanno spinte al massimo potenziale, e ottenendo risultati applicativi di rilievo), mentre il passaggio di conoscenze agli agricoltori è compito soprattutto dei tecnici e dei divulgatori; compito che deve essere agevolato da opportune politiche di supporto e favorito dall’apertura mentale del mondo agricolo.
Nel progetto MeNTAL, oltre ai vari convegni, abbiamo tenuto 12 webinar su tematiche applicative, alcuni dei quali veri e propri “corsi base” sull’utilizzo di software utili alla gestione di precisione, partecipati con interesse da più di 240 tecnici agronomi, periti agrari e agricoltori. Sul sito di progetto (https://www.progettomental.it) avrà la possibilità di accedere a tutto il materiale che abbiamo condiviso; gli accessi al sito sono in continuo aumento e gli utenti (professionisti, non studenti) ci ringraziano per aver fornito “sostanza” e non depliant patinati.
Poi, dopo questo passaggio, se ne potrà utilmente discutere. Noi siamo disponibili, consci del fatto che per uscire dalla difficile situazione del settore agricolo è necessario lavorare insieme, ciascuno per la sua parte e ciascuno per le sue competenze.
Concludiamo sottolineando che nel corso del convegno abbiamo presentato risultati anche molto applicativi (ad es. il supporto alla gestione di precisione dell’irrigazione in Emilia Romagna); lamentiamo con dispiacere che nella sua recensione lei non abbia voluto riconoscere la validità di questi risultati, concentrandosi solo su altri interventi, di pari importanza ma di utilizzo non immediato.
Con immutata stima,
Roberto Comolli a nome dei ricercatori MeNTAL