Innovazione digitale e agronomo 4.0: il sistema di vendita deve cambiare pelle

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«Il 90% delle attrezzature agricole che si vendono in Italia oggi non vengono sfruttate, se non in minima parte, per tutte le innovazioni tecnologiche che possiedono. Il motivo? Si sono complicate dal punto di vista progettuale e costruttivo, naturalmente in meglio, e quindi non basta più un bravo meccanico per venderle, metterle in campo e farle rendere per quello che valgono». Alessandro Malavolti, presidente di FederUnacoma (Federazione nazionale costruttori macchine agricole), centra il problema e motiva così la lenta diffusione dell’innovazione e della digitalizzazione in agricoltura.

C’è un fossato fra costruttori e agricoltori: ci vuole l’agronomo 4.0

Continua Malavolti: «Noi oggi disponiamo di bravissimi ingegneri che realizzano macchine fantastiche, ma è aumentata a dismisura la distanza tra i costruttori e gli utilizzatori, i quali non riescono a sfruttare in pieno come dovrebbero ciò che acquistano, ma non per colpa loro. C’è così tanta tecnologia, anche in attrezzature all’apparenza semplici, che per farle rendere dal punto di vista agronomico oltre che economico per quello che valgono, occorrono nuove figure professionali che possano affiancare l’imprenditore agricolo».

A chi si riferisce, Malavolti?

«Mi riferisco all’agronomo 4.0, una nuova figura professionale che FederUnacoma potrebbe formare con appositi master post laurea, percorsi molto pratici e operativi con tante ore da passare in campo, in grado di rappresentare finalmente l’anello di congiunzione ideale con il mondo degli agricoltori e dei contoterzisti».

D’accordo il periodo di formazione, ma poi dove troverebbe collocazione lavorativa l’agronomo 4.0?

«Presso i costruttori di macchine e attrezzature agricole e ancor meglio presso le reti di concessionari, che sono a diretto contatto con gli utilizzatori e che oggi non dispongono di figure di questo genere, che farebbero lievitare la diffusione della digitalizzazione e dell’innovazione in agricoltura. Come ho detto poco fa, oggi non basta più essere un buon meccanico per vendere le attrezzature: ci vuole ben altro, altrimenti il cliente non riesce a rientrare economicamente dell’investimento che ha fatto, e questo rappresenta una perdita immensa di valore per tutta la filiera».

Come si possono pagare gli agronomi 4.0

L’idea di Alessandro Malavolti è da condividere in pieno, ma già sentiamo dalle periferie levarsi i lamenti dei concessionari, non del tutto propensi a spendere soldi per assumere l’agronomo 4.0. Ecco allora che uno Stato che mantiene le promesse (è di qualche anno fa il progetto del nostro Mipaaf di portare l’agricoltura digitale dall’1% al 10% della superficie agricola italiana) deve mobilitare le risorse di cui dispone già e delle quali disporrà nei futuri Psr che, secondo le indicazioni di Bruxelles, dovrebbero dedicare ancora maggiori aiuti all’agricoltura di precisione e allo smart farming. Dove stanno le risorse? Oggi sono allocate nelle misure M1 e M2 del Psr regionali, destinate alla formazione di consulenti e al trasferimento delle conoscenze al mondo agricolo per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, le pratiche colturali, e la gestione aziendale all’insegna della sostenibilità economica e ambientale.

A queste misure sono stati destinati circa 400 milioni di euro, suddivisi tra le nostre regioni, che tuttavia hanno trovato sinora un utilizzo per un misero 17% (circa 60 milioni di euro): un cifra scandalosamente bassa, date le necessità di formazione e informazione che ha il nostro mondo agricolo. Le misure in questione, infatti, prevedono un iter di accesso complicato e individuano come beneficiari esclusivamente enti di formazione professionale accreditati presso le Regioni, gruppi operativi, distretti agricoli, istituti universitari ed enti pubblici. E tali beneficiari si sono dimostrati ben poco interessati a utilizzare le somme stanziate, tant’è che saremo costretti a restituirle quasi per intero a Bruxelles. Dunque l’idea era buona, ma come spesso accade, la sua messa in pratica ha fallito miseramente a causa della mancanza di un progetto formativo e informativo a livello paese che andava progettato per tempo, con obiettivi più chiari e mettendo al centro del discorso nuove figure professionali, non già esistenti.

Il consulente a tutto campo degli imprenditori

L’agronomo 4.0 formato dal master andrà a lavorare in pianta stabile presso un costruttore o un concessionario che almeno per i primi due o tre anni dovrebbero poter godere di una sovvenzione statale, finanziata dalle misure 1 e 2 del Psr, che copre una parte dello stipendio e delle spese. Alla fine di ogni anno si verifica il lavoro svolto dall’agronomo nella sua zona di competenza, il livello di innovazione che è riuscito a introdurre e i benefici che hanno ottenuto gli agricoltori. Se il suo lavoro avrà dato buoni frutti la sovvenzione statale sarà rinnovata, altrimenti verrà revocata.

Questa figura deve diventare il vero e proprio consulente di agricoltori e contoterzisti, non solo per quanto riguarda gli aspetti agronomici e tecnici, ma anche per tutto ciò che gira attorno alla domanda Pac, alle misure dei Psr, alla gestione aziendale e al mercato. Nella speranza che qualcuno si decida a sollevare questi argomenti a livello politico per evitare di commettere gli stessi errori nei futuri Psr, ci permettiamo di sollecitare le Regioni ad accelerare l’uscita dei bandi relativi alle risorse in essere, prima che sia troppo tardi.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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