La rivoluzione digitale deve arrivare in campagna, o addio alla redditività

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Abbiamo l’impressione che per la maggior parte degli agricoltori non sia importante guadagnare. Leggendo questa considerazione sobbalzerete sulla sedia, ma vi chiediamo solo un po’ di attenzione e in modo da farci chiarire il concetto.

Agli agricoltori (non tutti per fortuna!) interessa soprattutto il fatturato, che è cosa ben diversa dal profitto, cioè quello che rimane in tasca tolte tutte le spese. Ancora oggi quello che conta è spendere il meno possibile e questo è un male da curare in fretta, dato che viviamo in un Paese baciato dalla fortuna. Infatti il Made in Italy, dal chicco di grano alla bottiglia di vino, dalle calzature al Parmigiano Reggiano, è universalmente sinonimo di qualità: i mercati premiano talmente la “Marca Italia” che le contraffazioni sono all’ordine del giorno in tutti i mercati del mondo, dove si spaccia per italiano ciò che italiano non è.

Dunque chi acquista riconosce e premia la nostra qualità, se la sappiamo produrre, quindi è più che ovvio che vale la pena puntare su un posizionamento alto delle nostre produzioni, qualunque esse siano.

L’agricoltura di precisione per il made in Italy

Le tecnologie digitali, che in campagna vogliono dire soprattutto “agricoltura di precisione“, sono in grado di supportare alla grande l’obiettivo dell’alta qualità, ma possono fare anche altre cose. «Per esempio – ha sottolineato Giuliano Noci del Politecnico di Milano al recente convegno annuale di Condifesa Nord Est organizzato a Montichiari – ci permettono di ridurre i costi di produzione, con una flessibilità degli interventi agronomici a seconda delle diverse realtà aziendali, ma anche di garantire la tracciabilità di tutto ciò che abbiamo fatto in campo, dalla lavorazione del terreno e semina sino alla raccolta, dando concretezza e valore ai concetti di qualità, salubrità, sanità e sostenibilità. Concetti che acquirenti e consumatori sono disposti a premiare, pagando un prezzo più alto per ciò che acquistano, a patto che si sia capaci di informare nel modo giusto ed efficace».

Italia fanalino di coda nella digitalizzazione delle imprese

Ma c’è un grosso problema: l’Italia è all’ultimo posto in Europa per quanto riguarda la penetrazione delle tecnologie digitali nelle imprese. Tutte le imprese, dalle grandi alle piccole e medie, e in tutti i settori produttivi.

Ora torniamo al concetto iniziale. Se il problema dell’agricoltore è spuntare un prezzo più alto possibile per aumentare il suo profitto e questo è legato alla qualità e all’eccellenza del suo prodotto, e se le tecnologie digitali, come è ampiamente dimostrato, permettono di fare più qualità, è evidente che l’agricoltore si deve dare una mossa, accettando il cambiamento. Un cambiamento che riguarda il modo di concepire e di gestire la sua impresa.

Si tratta di un salto epocale, ma non basta ancora.

Fare squadra per gestire il mercato

Infatti, per sfruttare il buon nome della “Marca Italia”, non si può continuare a lavorare ognuno per conto proprio, chiusi nella propria azienda. Il mercato oggi premia sempre di più le masse critiche di prodotti di qualità certificata, e questo vale anche anche per le commodities, come sono chiamate le colture di pieno campo. I contratti di coltivazione ne sono un esempio lampante: qualità ben definita del prodotto unita a quantitativi prestabiliti da offrire agli acquirenti a un prezzo prefissato con premi crescenti al crescere della qualità.

«Gli agricoltori – dice Noci – se vogliono sopravvivere devono aggregarsi per fare investimenti e per avere in mano finalmente la “variabile prezzo”, che oggi è di dominio assoluto di coloro che acquistano, e che continuano a sfruttare la frammentazione del mondo produttivo agricolo, imponendo i prezzi che più convengono loro. È ora di finirla di piangersi addosso e continuare a fare quello che facevano i papà e prima ancora i nonni. Occorre un cambiamento forte, perché in campagna chi lo ha già fatto ne sta raccogliendo i frutti, e con molta soddisfazione».

30 milioni di euro nel progetto IOF 2020

Che nella digitalizzazione ci sia il futuro dell’agricoltura lo dimostra anche il fatto che l’Unione europea, con il progetto IOF 2020 (che sta per “Internet of Food & Farm” nell’ambito dell’Horizon 2020), ha stanziato sino al 2020 ben 30 milioni di euro proprio per accelerare la rivoluzione informatica nelle campagne con una serie di progetti operativi dedicati alle colture di pieno campo, all’allevamento, alla carne e alla frutticoltura.

Alcune importanti aziende, tra le quali Kverneland Group, stanno lavorando alacremente su questi progetti per superare gli ultimi ostacoli operativi, come per esempio il non sempre facile “colloquio diretto” tra diversi sistemi informatici, per fornire conoscenze e supporti informativi per favorire la diffusione dell’innovazione digitale in agricoltura. Ma poi occorrerà che chi lavora in campo presti la giusta attenzione a questi nuovi modelli gestionali finalizzati alla redditività.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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Nato nel 2014, Il Nuovo Agricoltore è un portale informativo dedicato all’agricoltura, con un occhio di riguardo alle innovazioni tecnologiche. Il progetto è sviluppato da Kverneland Group Italia.


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