L’agricoltura italiana va riorganizzata e modernizzata. Le risorse ci sono, ma nessuno coordina il cambiamento

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[blockquote style=”2″]Pur riconoscendo a ogni realtà pari dignità, è evidente che le politiche destinate a imprese che sono, o mirano a essere, strutturate, tecnologicamente avanzate, portatrici di forti competenze volte allo sviluppo dell’efficienza aziendale, non possono coincidere con quelle destinate ad aziende con pochi capi in mungitura che traducono la tradizione in immobilismo, anche se rappresentano in molti casi un presidio fondamentale e insostituibile per il territorio. Queste ultime non possono essere definite aziende che producono reddito, sviluppo e futuro per le nuove generazioni. Non si tratta solo di una questione di dimensione, ma di un approccio all’attività economica come un’impresa e non come un’abitudine.
Ciò significa che occorre il coraggio di prendere scelte precise e definire politiche agricole rivolte ad aziende che producono e politiche territoriali, sociali ambientali per quelle attività, molto importanti, che non necessariamente riescono competere in un mercato sempre più aperto.[/blockquote]

Queste considerazioni fanno parte di un articolo di Luigi Barbieri, presidente della Federazione nazionale produttori latte bovino di Confagricoltura, comparso sull’ultimo numero dell’Informatore Zootecnico che conclude il suo pensiero con un richiamo al mondo politico e alle rappresentanze sindacali, per un cambio di passo indispensabile per costruire «un solido futuro per la nostra zootecnia».

È un po’ paradossale che la conclusione sia questa, provenendo proprio da un rappresentante sindacale, perché il richiamo prima di tutto è rivolto a se stesso.

Chi ha la responsabilità politica del fare non fa passi avanti

Come sempre accade in questi casi, chi dovrebbe rappresentare gli agricoltori – tutti, senza alcuna eccezione e in buona compagnia con i nostri burocrati – è tanto abile nelle proprie dissertazioni propositive, quanto poi è poco efficiente quando si tratta di tradurle nella pratica operativa quotidiana, e così gli agricoltori continuano a essere lasciati soli nelle loro scelte strategiche. E il fatto è ancora più grave soprattutto in tempi come quelli attuali, in cui abbiamo a disposizione una montagna di milioni di euro concessi dall’Europa attraverso la nuova Pac e soprattutto con i nuovi Psr, proprio per far cambiare passo al nostro modo di produrre con l’obiettivo di aumentare la redditività.

Ma come si fa a pensare, per fare solo un esempio, che un piccolo allevatore di montagna con 4 o 5 vacche solo con le sue forze possa districarsi nelle oltre 1000 pagine che compongono il Psr regionale, per individuare gli aiuti e le sovvenzioni che lo riguardano e che per lui sarebbero una manna dal cielo?! Ammesso poi che ci capisca qualcosa, rimarrà sempre la difficoltà quasi insormontabile di preparare quella montagna di carte che bisogna presentare a corredo della domanda di finanziamento.

Ostaggi di una macchina legislativa poco efficiente e senza obiettivi concreti

Ecco la grande contraddizione che stiamo vivendo e che nessun politico affronta in maniera concreta: abbiamo a disposizione tutti gli strumenti, tecnologici e finanziari, per far convivere e offrire prospettiva di reddito al piccolo produttore, che è custode dei tesori territoriali, e al medio-grande produttore, che affronta i mercati globalizzati; ma ancora una volta rimaniamo fermi al palo, ostaggi della burocrazia nazionale e regionale e di una moltitudine di funzionari ai quali nessuno fissa obiettivi precisi e finalizzati all’assistenza tecnica e gestionale degli agricoltori.

Grandi e piccoli, tutti potrebbero avere un reddito adeguato

Siamo d’accordo sul fatto che, per rimanere nel settore latte bovino (ma questo vale per tutti gli altri comparti), l’Italia è divisa in due: grandi e medie stalle per il mercato globale e piccole realtà territoriali per salvaguardare tipicità, prodotti locali e territori marginali.

Entrambe queste realtà hanno diritto a vivere bene e a guadagnare, e proprio per questo le nuove politiche europee hanno messo a punto aiuti e sostegni specifici che le Regioni hanno tradotto in circa 21 misure per ciascun Psr regionale che sostengono tutto il sostenibile e anche di più.

L’Europa ha capito i problemi, ma l’Italia non risponde in maniera adeguata

Facciamo solo qualche esempio leggendo un Psr a caso.

  1. Gli agricoltori devono migliorare le loro conoscenze tecniche, normative, di mercato? Le misure M01 e M02 finanziano il “Trasferimento di conoscenze e azioni di formazione” e i “Servizi di consulenza, di sostituzione e di assistenza alle aziende agricole”.
  2. Si vuole migliorare la qualità delle proprie produzioni? La misura M03 finanzia i “Regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari” e qui dentro ci sono la tracciabilità, le filiere e via dicendo.
  3. Occorrono nuove attrezzature e tecnologie? La misura M04 è dedicata a offrire contributi consistenti per le “Immobilizzazioni materiali”, macchinari, tecnologie, eccetera; e la M06 sostiene specificatamente lo “Sviluppo delle aziende agricole e delle imprese”.
  4. Si opera in aree svantaggiate o in aree con vincoli naturali? La misura M07 offre sostegni di varia natura per i “Servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali” e la misura M13 offre indennità a favore delle “Zone soggette a vincoli naturali o altri vincoli specifici”.
  5. Tutti sono d’accordo sul fatto che gli agricoltori dovrebbero cooperare di più tra di loro anche per implementare l’innovazione, che è una delle chiavi principali per puntare alla redditività: la misura M16 finanzia la “Cooperazione” intesa come aggregazione di più soggetti, agricoltori, trasformatori, contoterzisti eccetera che si mettono insieme per implementare in campo varie innovazioni di prodotto e di processo. Tutti i costi del processo o quasi sono finanziati.

…e si potrebbe continuare con le misure dedicate al biologico, all’agroambiente, al benessere animale, eccetera.

Dunque ancora una volta non è questione di soldi: le risorse ci sono, sono cospicue e arrivano sino al 2020, tempo necessario per modernizzare agricoltura e allevamenti. Ma ancora una volta il mondo agricolo non ha voce, gli agricoltori sono lasciati soli e tutti coloro che dovrebbero “organizzare” la produzione orientandola al mercato, sono affacendati in altre faccende.

Così va l’agricoltura in Italia, ma per favore: i rappresentanti sindacali degli agricoltori e i funzionari ministeriali e regionali abbiano la compiacenza di evitare prediche dal pulpito: non è proprio il caso!

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


2 commenti

  • apugliisi

    21 Aprile 2016 at 2:23 am

    L’articolo rispecchia già perfettamente le difficoltà di un agricoltura beffata dalla sua stessa classe. Agronomi,comuni,sindacati,sembrano delle resta in contraddizione fra loro,mentre chi possiede è favorito senza contropartite sociali,e chi dovrebbe essere aiutato viene. Messo ai margini senza benefici. 1000 pagine di ossessiva descrizione degli aiuti non basteranno a fare un nuovo agricoltore.

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  • Marino Mosconi

    23 Aprile 2016 at 1:44 pm

    Caro Bartolini
    coraggio di prendere scelte precise, cambio di passo, un solido futuro.
    Sentivo queste parole alle fine degli anni ’70 – ero un giovane Anga – continuo a sentirle oggi che sono sessantenne e le sento pronunciare da chi dovrebbe rappresentare gli agricoltori . Ma perché mi domando ancora gli agricoltori debbano farsi rappresentare piuttosto che rappresentarsi in prima persona. Mi do ormai la risposta da solo: ormai sono più i rappresentanti che i rappresentati e se questi non si sono mossi negli anni dello sviluppo oggi non ci sono più prospettive. Magari fare un’analisi economica del settore nell’ultimo secolo di storia, potrebbe essere utile per non ripetere gli stessi errori anche in altri comparti produttivi.

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