Roberto Bartolini20 Ottobre 20214min14730

Mais, con i biostimolanti si riduce l’apporto di azoto

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Tra gli agricoltori c’è ancora un alone di diffidenza verso i biostimolanti (funghi micorrizici, batteri della rizosfera, idrolizzati proteici, sostanze umiche, estratti di alghe), giudicati spesso una “ulteriore spesa inutile” che grava sul conto colturale. Bisogna invece considerare questi prodotti – che non sono fertilizzanti perché non apportano nutrienti – con una crescente attenzione, poiché possono essere la chiave giusta per ridurre l’apporto di concimi azotati, come viene chiesto agli agricoltori dalle nuove direttive europee.

Le funzioni dei biostimolanti

I biostimolanti migliorano l’efficienza d’uso dei nutrienti e dell’acqua da parte della pianta, aumentano la tolleranza agli stress (temperature elevate, siccità, salinità) e incrementano la qualità dei raccolti. Sino a oggi il loro impiego è stato prevalente sulle colture ad alto reddito (viticoltura, orticoltura e frutticoltura), ma oggi i biostimolanti possono espandere il loro ruolo anche sulle colture erbacee.

Una sperimentazione in campo sul mais

Una sperimentazione di campo sul mais effettuata dall’Università del Sacro Cuore di Piacenza, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, ha fornito già al primo anno delle indicazioni pratiche molto significative, che sono state riportate di recente sull’Informatore Agrario. Le tesi a confronto prevedevano:

  1. Mais testimone senza l’uso dei biostimolanti.
  2. Mais con concia del seme a base di funghi micorrizici (Rhizoglomus irregulare BEG72 e Funneliformis mosseae BEG 234 a 700 sp/g ciascuno + Agrotecnologias naturales SL) o batteri rizosferici PGPR (Bacillus megaterium BM77 e BM06 a 2 l/ha + Agrotecnologias naturales SL) e distribuzione di un idrolizzato proteico (2,5 l/ha) in fase di pre-fioritura.

I biostimolanti funzionano bene se c’è meno azoto minerale

In tutte le tesi è stata prevista sia una distribuzione ottimale sia una distribuzione ridotta del 30% di azoto minerale, come richiedono le nuove strategie europee del “Farm to fork”.

Il risultato finale dimostra che i biostimolanti funzionano al meglio solo quando l’input di azoto è stato ridotto del 30%, garantendo la stessa produzione di granella delle altre tesi. Questo significa poter produrre con minore apporto di azoto minerale migliorando la sostenibilità dei sistemi agrari grazie all’uso mirato dei biostimolanti. In conclusione, sembra dimostrato anche con questa sperimentazione che i biostimolanti siano in grado di migliorare sino al 25% l’assorbimento dei nutrienti e fino al 15% le caratteristiche del prodotto raccolto, come sostiene l’Ebic (European biostimulants industry council).

La ricerca approfondirà quali meccanismi consentano ai biostimolanti di esplicare queste funzioni positive, ma certamente si innescano azioni sinergiche virtuose tra queste sostanze naturali apportate al seme e alla pianta e la rizosfera del suolo.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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