Roberto Bartolini13 Settembre 20175min9141

Pasta: l’obbligo dell’origine della materia prima in etichetta potrebbe non essere applicato

pasta-italiana

Il ministro alle politiche agricole Maurizio Martina difende le sue scelte sul Corriere della Sera, ma il decreto che impone dal febbraio 2018 l’indicazione obbligatoria, nelle etichette di pasta e riso, dell’origine della materia prima (vedi notizia) probabilmente non potrà essere applicato. Lo spiega molto bene il portale Il Fatto Alimentare, mettendo in evidenza un comportamento quantomeno azzardato da parte dei nostri ministeri dell’agricoltura e dello sviluppo economico.

La cronologia del pasticcio

12 maggio 2017: invio a Bruxelles della richiesta di poter indicare sulle confezioni di pasta secca e riso prodotte in Italia l’origine della materia prima.

25 luglio 2017: le autorità italiane, venute a conoscenza della probabile risposta negativa della Commissione europea, decidono di ritirare la richiesta per non subire una bocciatura ufficiale.

26 luglio 2017: i nostri due ministeri firmano un decreto legge, identico a quello notificato alla Commissione, che prevede entro 180 giorni dalla pubblicazione l’obbligo di indicare l’origine della materia prima.

Una forzatura che contrasta con le regole europee

Ci troviamo insomma di fronte a una evidente forzatura, dato che il decreto legge è in aperto contrasto con le regole europee che prevedono prima la notifica alla Commissione Ue e poi un intervallo di 90 giorni per la risposta. Che, se positiva, può dare attuazione al decreto.

Procedura di infrazione e l’annullamento in arrivo

Ora la Commissione europea sostiene di non essere stata informata, visto che la notifica è stata ritirata dall’Italia, e avvierà una procedura di infrazione con sanzione pecuniaria e annullamento del provvedimento. Dunque i decreti di origine di pasta e riso valgono, al momento, come carta straccia.

Fin qui la cronaca del pasticcio ministeriale. Ma torniamo al grano e alla pasta.

Molte confezioni hanno già le indicazioni di origine

Ha ragione il minsitro Martina a sostenere che occorre salvaguardare il grano italiano di qualità, aumentandone la quantità prodotta in filiera e valorizzandolo sulle confezioni da parte dei pastifici, ed è sacrosanto che il consumatore abbia la possibilità di conoscere l’origine – e, aggiungiamo noi, anche il nome – del grano che ha prodotto la pasta che metterà in tavola. Ma se Martina e il suo collega all’economia Calenda vanno al supermercato, troveranno tante confezioni di pastifici grandi e piccoli che riportano già da anni, in modo chiaro e leggibile, il nome del grano con la quale è stata prodotta quella pasta. E i consumatori premiano ogni giorno questa scelta di marketing, molto trasparente e azzeccata. Lo hanno deciso e messo in pratica in modo autonomo e volontario tanti pastai, senza aspettare che la politica si accorgesse di una necessità ormai inderogabile, con un decreto ufficiale che forse non vedrà mai applicazione. Come sempre, il mondo reale vive in un’altra dimensione, che la politica non potrà mai comprendere.

Tanto per fare due esempi reali, pubblichiamo qui sotto le foto delle mezze maniche di Voiello prodotte con “Grano Aureo 100% italiano” e della pasta del Podere Pereto, prodotta con la “Varietà antica Turanicum 100%”. Più chiaro di così…! E c’è quindi bisogno di un decreto?

Due confezioni di pasta che riportano l’origine del grano in etichetta.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Un commento

  • Me

    7 Ottobre 2017 at 11:40 am

    Sacrosanta la scelta dei pastai di surclassare la lentezza di politica e burocrazia (ammesso che corrisponda al vero quanto scritto in etichetta!!!); sacrosanta la necessità di tutela dei consumatori, ma quando diventerà altrettanto sacrosanto il diritto dei produttori di frumento di vedere riconosciuto un prezzo congruo e maggiorato rispetto ai grani esteri di pessima qualità???

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