Giuliano Mosca3 Dicembre 20147min10550

Soia, tutte le virtù di una fantastica ‘biofabbrica’

Soia in maturazione

Nel nostro Paese le oleaginose – vale a dire soia, colza e girasole – hanno subito, già a partire dal 2003, una contrazione significativa. Una tale drastica riduzione delle superfici destinabili a semi oleosi, sotto il profilo agronomico-ambientale, ha comportato una inaccettabile semplificazione degli avvicendamenti colturali con delle serie ripercussioni sui sistemi colturali tipici dell’agricoltura italiana.

Le oleifere hanno grandi pregi agronomici

Al contrario, tra le misure agro-ambientali è oggi d’obbligo l’avvicendamento colturale per coloro che chiedono di accedere agli aiuti integrativi nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale. Vale la pena ricordare, inoltre, che le tre oleifere si adattano a produrre normalmente anche adottando itinerari agronomici “low input”. La soia ad esempio non richiede specifici apporti azotati, mentre il girasole sopporta la riduzione delle lavorazioni del terreno e il colza, specie con i nuovi ibridi a rapido accrescimento iniziale, è in grado di assimilare importanti quantità di nitrati preservando la rizosfera da fenomeni di lisciviazione.

In Europa importiamo troppe proteoleaginose

L’Europa è importatrice netta di proteoleaginose e dall’inizio del nuovo millennio, sui 45 milioni di tonnellate di panelli e farine proteiche che ogni anno l’EU-15 ha consumato, il 70% veniva prodotto a partire da soia. I due terzi di questi, circa 30 milioni di tonnellate, risultavano essere inoltre d’importazione. In una tale situazione commerciale, sembrava quasi che le risorse proteiche dell’Europa fossero lasciate senza un futuro.

Appare indispensabile, quindi, ridurre questo pesante stato di dipendenza. Da un lato facendo riacquistare spazio alla coltivazione delle proteaginose, soia in primis, dato che negli ultimi tempi si è venuta significativamente contraendo; e dall’altro lato attraverso un’azione di diversificazione delle fonti proteiche vegetali.

Soia su sodo
Soia su sodo

I nuovi alimenti con proteine vegetali

Interi segmenti dell’industria alimentare si sono specializzati nella produzione di alimenti contenenti proteina vegetale. Il progresso nella produzione di integratori a base di soia ha permesso l’ottenimento di prodotti che possiedono funzioni diverse: emulsionanti, leganti, strutturanti. Il successo nell’utilizzo di questi composti vegetali è cresciuto in ragione del loro relativamente basso costo.

La funzione nutraceutica della soia

In soia la proteina, assieme ad altri composti a carattere “nobile”, è studiata anche per la sua funzione nutraceutica; ovvero, se viene assunta regolarmente con la dieta, agisce nella prevenzione e/o rallentamento dell’insorgenza di alcune patologie oncologiche. I cosiddetti nutraceutici derivano dal metabolismo principale della pianta (proteine) o dal metabolismo secondario, come nel caso di isoflavoni e saponine.

Oggi la soia va considerata dunque come una vera e propria biofabbrica in grado di fornire, accanto alla classica proteina di elevato valore biologico, anche dei prodotti nutraceutici ad azione antitumorale.

Quella nobile simbiosi tra batteri-funghi e radici

Nei vegetali non sempre l’invasione da parte di batteri e funghi dà luogo a uno stato di malattia. Alcune tipologie di invasione, ad esempio quando i microrganismi irrompono nelle cellule radicali, sono al contrario benefiche. Attraverso un essenziale rifornimento di nutrienti, i microrganismi aiutano sia le piante ospiti che gli avvicendamenti colturali, se non addirittura degli interi sistemi agricoli. In certe interazioni simbiotiche, le radici sono infettate da funghi micorrizici che aiutano i vegetali superiori ad acquisire fosforo dal terreno. In altre simbiosi agricole, i rizobi alloggiano nelle radici delle leguminose, quali il pisello, la soia e l’erba medica, dove producono la forma di azoto necessaria per l’accrescimento.

La fissazione biologica dell’azoto atmosferico

Questo tipo di piante presenta la particolare abilità di fissare l’azoto atmosferico, che rappresenta una risorsa rinnovabile, attraverso la formazione di noduli entro i quali vengono ospitati i microsimbionti radicali più o meno specifici, i rizobi. La fissazione biologica dell’azoto è un processo efficiente e, su ampia scala, la produzione di ammonio da parte della simbiosi “Rhizobium – leguminosa” risulta più elevata della produzione industriale degli azotati di sintesi.
Impiegando i concimi azotati consumiamo dell’energia fossile: è richiesto l’equivalente di due tonnellate di petrolio (in energia) per produrre e spargere una tonnellata di concime azotato.

Tutti i risparmi di energia possibili

L’impiego invece di azoto biologico, come quello fissato dalle leguminose per produrre proteine vegetali, consente notevoli risparmi nei consumi di energia non rinnovabile e di conseguenza fa diminuire il contributo dell’agricoltura all’effetto serra. La coltivazione di una leguminosa porta a economizzare circa 0,2 tonnellate di petrolio per ettaro, che equivalgono alla produzione di 600 kg/ha di CO2.

Le leguminose sono dunque uno dei pilastri su cui poggia lo sviluppo sostenibile dei sistemi agricoli. È stato stimato che il 20-30% dei costi energetici necessari alla coltivazione delle piante è assorbito dalla produzione e distribuzione in campo degli azotati.

Non va dimenticato, infine, che le leguminose promuovono diversità ed efficienza alle rotazioni agrarie e contribuiscono significativamente al sostegno della fertilità del terreno agrario. Le leguminose inoltre concorrono alla salubrità del cibo in generale e fanno parte integrante della cosiddetta “dieta mediterranea”, anche se oggi risultano ancora sottorappresentate nell’ambito dell’agricoltura europea e meritano invece, in rapporto agli innumerevoli vantaggi offerti, un ulteriore sviluppo.

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