Agricoltura biologica, un boom che non si ferma. E che deve coinvolgere anche i seminativi
Produciamo quello che chiede il mercato e avremo più soddisfazioni economiche. La regola è universale, ma non sempre l’agricoltore riesce a trarne vantaggi, fatta eccezione per chi produce seminativi biologici, perché da qualche anno i prezzi di mercato sono doppi o tripli rispetto al prodotto tradizionale. D’altra parte, i numeri delle vendite del mondo “bio” in Italia parlano chiaro su come la pensano i consumatori: ammontano a 1,12 miliardi di euro all’anno, con una crescita a doppia cifra rispetto all’anno precedente.
Le aziende agricole che fanno bio in Italia sono passate da 60.000 del 2015 a 75.000 nel 2016. La maggior parte di queste aziende produce vite, frutta, ortaggi e uova, ma da qualche tempo sta crescendo anche il comparto delle aziende a seminativo, dal momento che i prezzi di mercato incentivano la conversione al biologico.
Allora conviene fare frumento, mais, soia eccetera biologici? Certamente sì, a patto di seguire con attenzione un percorso colturale che non si improvvisa, ma che va modulato sulla base delle nuove esigenze, perché chi fa bio deve rispettare parecchi “paletti”, tra i quali il più oneroso dal punto di vista tecnico riguarda il divieto all’uso degli erbicidi.
Ma ancora una volta, l’innovazione tecnologica e agronomica vengono in aiuto dell’agricoltore che sa informarsi. L’esperienza di alcuni agricoltori bio dice infatti che con le minime lavorazioni del suolo, abbinate alla rotazione colturale (un punto cardine del regime bio) e alla uso delle cover crops o colture di copertura, insieme alla tecnica della “falsa semina”, consentono anno dopo anno di limitare sempre più la presenza delle infestanti, riuscendo a produrre senza l’uso di erbicidi.
Il rispetto del suolo e il suo progressivo miglioramento in termini di fertilità fisica, chimica e biologica è insomma ancora una volta alla base dei successi produttivi. Anche dei produttori di seminativi biologici.