I ricercatori universitari servono all’agricoltura italiana?
Oggi per il ricercatore universitario l’importante non è portare un contributo per risolvere un problema dell’agricoltore o del territorio, quanto piuttosto pubblicare le proprie ricerche su riviste internazionali che concorrano a migliorare la propria carriera accademica.
Questo è il pensiero di Geremia Gros dell’Università di Trento in un recente editoriale per l’Informatore Agrario.
Per superare questo impasse, Gros propone di valutare i ricercatori in funzione della loro capacità di trovare soluzioni concrete, efficaci e utili per gli operatori. Si tratta più o meno della scoperta dell’acqua calda e la soluzione proposta ben difficilmente troverà consensi nel mondo accademico, che troppo spesso si specchia in cervellotiche inutili sperimentazioni ma non dà segnali confortanti di voler voltare pagina.
Ma per fortuna, e lo ammette anche Gros, non tutti i ricercatori sono alla mercé del cosiddetto “impact factor”, quel diabolico indice che misura quante volte la dotta pubblicazione sulle prestigiose riviste internazionali è stata citata dai colleghi e che quindi concorre a “far carriera”.
La nostra ultraquarantennale esperienza agronomica e giornalistica ci permette di affermare che il mondo accademico agricolo si è sempre diviso in due parti ben distinte: i ricercatori che non ne vogliono sapere di divulgare e i ricercatori che, oltre alle pubblicazioni scientifiche, si impegnano periodicamente e con continuità esemplare a scrivere articoli divulgativi utili agli agricoltori. Quindi, come sempre, non è il metodo di valutazione del valore del ricercatore a determinare la distanza attuale che c’è tra agricoltori e mondo della ricerca, quanto piuttosto l’interpretazione del proprio ruolo che dà il singolo ricercatore e professore universitario e il desiderio di andare un po’ al di là della consuetudine.
È chiaro che riassumere in poche cartelle i risultati di una ricerca o di una sperimentazione richiede a chi non ha tanta dimestichezza con la divulgazione spicciola uno sforzo e un impegno notevoli, ed è proprio per questo che la maggior parte dei nostri ricercatori si ferma al primo step. Se prendiamo come esempio il settore delle colture erbacee ed estensive, i ricercatori e i docenti che divulgano ci sono anche se non sono molto numerosi, e i loro articoli sono fonte di importanti indicazioni operative per gli agricoltori. Perché lo fanno? Perché interpretano in modo giusto il loro ruolo, che non è solo quello di rendere noti i risultati delle loro ricerche e sperimentazioni a un numero ristretto di individui, bensì di metterli a disposizione di quante più persone possibile.
Caro Geremia Gros, le regole di valutazione possono rimanere così per un altro secolo, l’importante è che i nostri ricercatori scendano dalla torre d’avorio e si impegnino di più per essere utili agli agricoltori, prendendo esempio dai colleghi che già lo fanno con ottimi risultati.