Roberto Bartolini20 Marzo 20173min10640

Il glifosate non è cancerogeno: è arrivato il verdetto ufficiale

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«L’erbicida glifosate non dovrebbe essere classificato come cancerogeno, mutageno o come sostanza con effetti sull’apparato riproduttivo, sia per gli animali che per gli essere umani». Questa la valutazione dell’Echa (European chemicals agency), l’agenzia dell’Unione europea che è competente per la valutazione dei fascicoli relativi alla classificazione delle sostanze chimiche.

Il parere è stato pubblicato ufficialmente il 15 marzo scorso e lo aveva espressamente richiesto la Commissione europea, che lo valuterà nei dettagli entro l’estate, per poi giungere entro la fine dell’anno 2017 alla decisione sul rinnovo o meno dell’autorizzazione all’uso del glifosate, l’erbicida al centro di un acceso dibattito che negli ultimi mesi lo ha visto a rischio di bando.

Ricordiamo che il glifosate rimane al centro di pareri scientifici assai discordanti. Quest’ultimo parere dell’Echa, che di fatto lo assolve, segue infatti altri due pareri, precisamente:

  • Nel marzo 2015 il glifosate viene definito “sicuramente cancerogeno” dallo Iarc, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità.
  • Nel novembre del 2015 l’Efsa, agenzia europea per la sicurezza alimentare, si esprime ritenendo “improbabile” che il glifosate possa essere cancerogeno, proponendo però allo stesso tempo dei nuovi livelli di sicurezza che possano rendere più severo il controllo dei residui negli alimenti.

Ci auguriamo ora che la Commissione europea valuti molto attentamente i rischi di un’eventuale sospensione dall’uso del glifosate, che impedirebbe agli agricoltori di continuare nella nuova gestione dei terreni attraverso le lavorazioni conservative, cioè minima lavorazione, strip-till e semina diretta. Si tratta di lavorazioni innovative che, oltre a far risparmiare soldi in termini di gasolio e di ore lavorate, portano una serie di vantaggi ambientali sui quali è stata in gran parte fondata la nuova politica agricola europea, ma che hanno la necessità di utilizzare questo erbicida.

Vietare il glifosate vorrebbe dire non poter applicare più percorsi agronomici virtuosi e tornare indietro di decenni, con la conseguente ulteriore perdita di competitività dell’agricoltura europea. Per noi italiani sarebbe poi una sciagura ancora più pesante, dal momento che probabilmente nemmeno i nostri nipoti potranno salutare la liberalizzazione delle sementi ogm, l’altro caposaldo a noi vietato per l’ignoranza scientifica dei politici e dei consumatori, ma decisivo per il recupero di redditività.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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