Pac, gli eco-schemi vanno riscritti con agricoltori ed esperti

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Le imminenti elezioni europee e una Pac della durata di soli cinque anni (terminerà infatti nel 2027) rendono impraticabile quella revisione di medio termine che permetterebbe le necessarie correzioni a un impianto legislativo insoddisfacente. Tuttavia alcune correzioni si possono fare agendo sul fronte nazionale, come per esempio sugli eco-schemi, che assorbono il 25% dei pagamenti diretti. L’Unione europea li ha resi obbligatori ma non ha detto come scriverli, quindi le norme attuali, contestate e discutibili, possono essere revisionate.

Al tavolo del ministero non bastano i sindacati

A questo proposito Il Ministero dell’agricoltura ha già predisposto un tavolo di lavoro dedicato alla revisione deli eco-schemi, ma se a quel tavolo non partecipano anche i veri agricoltori bensì soltanto le loro organizzazioni sindacali, siamo al punto di partenza. Gli eco-schemi riguardano aspetti tecnico-agronomici di natura pratica, che solo chi lavora tutti i giorni la terra può contribuire a migliorare. Dunque la cosiddetta “base” agricola va consultata e ascoltata.

Ma cosa e come modificare gli eco-schemi? Se ne è discusso a Fieragricola di Verona nel corso di un convegno organizzato da Edagricole, con la partecipazione di alcuni esperti che fanno parte del comitato tecnico-scientifico della rivista Terra e Vita, che a nostro avviso meriterebbe di essere consultato dal Masaf quando si devono scrivere le normative nazionali della Pac (per chi fosse interessato, rimandiamo al sito da cui è possibile scaricare le slide e la registrazione integrale del convegno: “Un anno di ecoschemi: criticità e soluzioni per applicarli al meglio“).

Italia maglia nera sugli antibiotici?

In riferimento all’eco-schema 1 “Pagamento per il benessere animale e la riduzione degli antibiotici”, la prima domanda che aleggia tra gli allevatori è questa: l’Italia ha davvero la maglia nera in Europa per l’uso di antibiotici negli allevamenti?

«In dieci anni – dice Giuseppe Pulina dell’Università di Sassari – abbiamo ridotto del 57% l’uso di antibiotici negli allevamenti, da 421,1 mg/PCU del 2010 a 181,9 mg/PCU nel 2020; tuttavia il consumo dell’Italia risulta ancora alto rispetto alla media europea (89 mg/PCU)». Il PCU è l’indicatore adoperato nella veterinaria che rappresenta la quantità di principio attivo venduta (mg) per unità di correzione della popolazione animale a rischio. Una singola PCU rappresenta orientativamente un chilogrammo di peso vivo “a rischio”.

Il nodo delle mediane regionali

Com’è noto, il contributo per il livello 1 “Riduzione dell’antimicrobico resistenza (AMR)” spetta agli allevamenti che alla fine dell’anno solare della domanda di aiuto (31 dicembre) rientreranno nelle seguenti soglie:

  • hanno valori DDD (Define Daily Dose, DDDAit per l’Italia) uguali o inferiori al valore definito dalla mediana regionale;
  • hanno valori DDD superiori al valore definito dalla mediana, ma lo riducono del 10% rispetto all’anno precedente.

Gli allevatori sostengono che le medie regionali di riferimento sono molto diverse da regione a regione e questo crea una concorrenza tra gli allevatori che andrebbe eliminata. Inoltre, per ricevere il contributo, l’asticella di riferimento sull’uso dell’antibiotico si abbassa ogni anno, creando sempre più difficoltà operative agli allevatori. Già quest’anno ci sono stati casi di allevamenti che, a fronte di una riduzione del 10% degli antibiotici, hanno riscontrato un aumento dell’1% della mortalità.

Limite minimo di antibiotico

Afferma Pulina: «I veterinari chiedono che, nel calcolo della mediana regionale di riferimento, venga introdotto un parametro minimo dell’uso dell’antibiotico al di sotto del quale si metterebbe a rischio la sopravvivenza dell’allevamento». Ma cosa succede nell’allevamento se si diminuisce l’uso di antibiotici? Pulina ha riportato l’esempio in un allevamento di 1200 scrofe dove è stata applicata una riduzione della DDD da 20 (2017) a 8 (2023) sotto la media regionale. Gli effetti sono stati i seguenti:

  • aumento dei costi sanitati per la vaccinazione (+50% = 80€/scrofa);
  • aumento della mortalità sottoscrofa (dal 2% al 8%);
  • riduzione del peso di sgabbiamento (da 30 a 23 kg/suinetto).

È chiaro che su questo punto occorre mettere insieme dati ufficiali, che ad oggi non esistono, per fornire risposte adeguate agli allevatori ed evitare di mettere a rischio i nostri allevamenti, dal momento che l’allevatore non usa l’antibiotico per divertimento, bensì perché vuole evitare che gli animali si ammalino.

In un prossimo articolo parleremo delle modifiche da apportare agli eco-schemi 4 e 5.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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