Roberto Bartolini21 Agosto 20197min9370

Tanti tavoli al capezzale dei seminativi, ma quel che serve è l’organizzazione territoriale

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Tavolo sui cereali, tavolo per la crisi del mais, tavolo del grano duro, tavolo sulle proteiche…. Tanti tavoli apparecchiati con tante belle idee, tante belle promesse, alle quali quasi mai fa seguito un’azione reale, incisiva, utile per gli agricoltori e i mercati. In Italia viviamo di concertazione perenne, ma pochi poi si prendono la responsabilità del fare. Quanti anni sono che lamentiamo la crisi profonda che attanaglia i seminativi italiani?

Risolviamo la frammentazione produttiva

Non è solo questione di prezzi, ma di come si scelgono le colture, di come si coltivano, di come si vendono, di come non si riesce a fare massa critica per affrontare una domanda che cambia molto rapidamente, di pari passo alle mutevoli abitudini dei consumatori. Per i seminativi occorre risolvere una volta per tutte la frammentazione produttiva, dove ciascuno va per proprio conto. Le imprese non hanno futuro finché non avranno in mano la variabile “prezzo”.

Ma come si fa ad avere voce in capitolo sul prezzo di quello che si vende? Occorre presentare al compratore prima di tutto quello che gli serve davvero e poi con una massa critica notevole, omogenea e con caratteristiche distintive dal resto della produzione che è per lo più indistinta. E questo lo possono fare le singole aziende agricole italiane che producono i seminativi? Quelle grandi o medio-grandi lo fanno già, quelle piccole no, e qui sta il loro problema per il quale alla fine dell’anno i conti non tornano.

Occorre una programmazione territoriale delle produzioni

Dunque se vogliamo salvare i nostri seminativi occorre mettere in campo una programmazione della produzione regione per regione e nell’ambito di ciascuna regione, territorio per territorio, sulla base della vocazionalità. Ma chi lo può fare? Qui sta il problema dei problemi, perché questo dovrebbe essere il compito primario delle organizzazioni agricole, ma da decenni sono l’una contro l’altra armate e non si prendono certo la briga di caricarsi sulle spalle questo progetto. Allora ci vorrebbe una decisione calata dall’alto, cioè imposta per il bene del paese, dal Ministero delle politiche agricole, l’organismo che al di sopra di tutti vara finalmente un piano di riorganizzazione produttiva dei seminativi collegata ai trasformatori, cioè al mercato.

Nella speranza che qualcuno raccolga l’idea, abbozziamo l’elenco delle prime cose concrete e indispensabili da mettere in pista, ragionando sempre nell’ambito ristretto di una singola regione.

Censimento delle filiere attuali e potenziali

Dato che si può vendere solo quello che il mercato chiede, la prima cosa da fare è un censimento capillare delle richieste attuali e potenziali di tutti i trasformatori presenti sul territorio. Cosa ti serve oggi? Cosa ti può servire domani? Quante tonnellate? In quali periodi dell’anno? Con quali caratteristiche? Che prezzo sei disposto a pagare? Poi di questo verremo a discutere facendoti vedere il costo oggettivo di produzione di quello che chiedi.

Censimento dei contoterzisti e corsi di formazione

Dato che soprattutto le piccole e medie aziende non sono attrezzate, almeno per i seminativi, con cantieri di meccanizzazione moderni in grado di mettere in campo le vere innovazioni che consentono di abbassare i costi e migliorare i terreni e le produzioni, la seconda cosa da fare è il censimento delle imprese contoterzi presenti e delle tipologie di attrezzature di cui dispongono. Ma qui è necessario anche spendere qualche risorsa pubblica per una formazione agronomica e digitale di questi imprenditori, in modo che il contoterzista diventi il vero e proprio consulente dell’agricoltore.

Altri soldi pubblici ben spesi sarebbero quelli da destinare alla discesa in campo di agronomi che affianchino imprese agromeccaniche e agricoltori per mantenere sempre alta la guardia sulle innovazioni tecnologiche e dei mezzi tecnici.

Creare ampie superfici contigue dalla collaborazione attiva di singole aziende

La terza cosa, forse la più difficile ma oggi non impossibile data la situazione di mercato, è la costituzione di ampie superfici create con l’aggregazione di tante aziende singole, destinate ciascuna a una coltura in base alle prospettive di mercato che si sono stabilite con la filiera. Su queste superfici occorre mettere in campo quanta più innovazione possibile, in accordo con chi poi acquista il prodotto, perché solo così si può garantire una giusta remunerazione alla parte agricola.

Fortunatamente viviamo un periodo in cui il consumatore è disposto a spendere, se si garantiscono determinati requisiti e parametri qualitativi, quindi occorre lavorare in questa direzione. Le poche e frammentate filiere che in Italia già oggi operano con successo in campo cerealicolo, dimostrano che quanto diciamo non è utopia, bensì la chiave per far sopravvivere i seminativi. Ma si deve trovare qualcuno che finalmente metta in pratica aggregazione e filiera a livello nazionale, per far sì che le opportunità che oggi pochi colgono, diventino patrimonio di tutti.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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