“Accordo storico” tra Coldiretti e genetisti: i soliti roboanti annunci al vento

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Un comunicato stampa di Coldiretti il 20 giugno scorso recitava così: «Storico accordo Coldiretti-ricerca sulla genetica green. Nasce il primo storico accordo tra agricoltori e scienziati per la nuova genetica green, capace di sostenere l’agricoltura nazionale, difendere il patrimonio di biodiversità agraria dai cambiamenti climatici, far tornare la ricerca italiana protagonista di questa fase 3 dopo l’emergenza coronavirus».

Alla faccia del bicarbonato di sodio… direbbe Totò! Ma non è finita. Il manifesto degli annunci roboanti continua infatti così: «L’accordo migliorerà il nostro modello produttivo, ad esempio con varietà più resistenti, con meno bisogno di agrofarmaci e con risvolti positivi in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale per far diventare l’Italia capofila in Europa nelle strategie green in un impegno di ricerca partecipata anche da ambientalisti e consumatori».

Proprio in queste ultime righe sta la summa di carica comica del comunicato: non è forse che, zitti zitti, i Coldiretti hanno convinto finalmente ambientalisti e consumatori che il miglioramento genetico di ultima generazione chiamato Tea (tecnologie di evoluzione assistita), che non implica inserimenti di dna esterni alla pianta, non è il diavolo? Si può gridare al miracolo!

Può essere che il coronavirus, tra le tante disgrazie che ci ha arrecato, abbia indotto una qualche mutazione felice nei pensieri dei nostri concittadini, anche se poi non è ben chiaro cosa comporti in termini pratici e operativi questo “accordo storico”. Cosa vogliono fare, con quali mezzi, con quali obiettivi, in quali tempi? Nel comunicato non c’è nessuna traccia di tutto questo, ma solo belle parole, come sempre.

Guai alle multinazionali! Solo ricerca made in Italy

L’illuminato comunicato Coldiretti continua poi così: «Una grande sfida per far tornare gli agricoltori protagonisti della ricerca senza che i risultati finiscano nelle mani di poche multinazionali proprietarie dei brevetti». Ecco qui la grande illusione, sbandierata agli occhi di consumatori e ambientalisti! Noi italiani da soli, come sempre contro tutti, come possiamo fare con una ricerca genetica nazionale che da anni è allo sbando, lasciata sola senza finanziamenti, senza progettualità e forse ormai senza nemmeno genetisti in grado di competere a livello internazionale? State tranquilli, ci pensano Coldiretti e Siga (Società italiana di genetica agraria), il cui presidente Mario Enrico Pè dice: «I genetisti agrari italiani sono ben attrezzati per contribuire a un’agricoltura sostenibile e innovativa, per questo è necessario un piano mirato di investimenti in ricerca, in quanto solo la ricerca pubblica nazionale è in grado di sviluppare soluzioni su misura per la nostra agricoltura e di renderle disponibili a tutti i produttori».

Qui siamo alla commedia dell’arte: dopo Nazareno Strampelli e pochissimi altri valenti genetisti italiani, gli agricoltori italiani hanno potuto rimanere competitivi grazie alla genetica sviluppata dai laboratori di grande aziende non certamente per la maggior parte made in Italy, che da decenni investono montagne di denaro in ricerca e sviluppo, protagoniste di aggregazioni e di fusioni che si sono rese via via sempre più indispensabili, data la necessità di poter contare su investimenti sempre maggiori. E noi stiamo a parlare di ricerca genetica nazionale? Ma mi faccia il piacere… direbbe sempre Totò!

Una domanda conclusiva: ma un progetto di tale portata strategica non dovrebbe essere di competenza dello Stato o del Mipaaf? Cosa c’entra allora Coldiretti?

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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