Agricoltura, 4 buone ragioni per credere nel grano duro (dopo un’annata da dimenticare)

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I produttori di grano duro italiano sono infuriati e delusi per un’annata caratterizzata da basse rese, bassa qualità e prezzi che non mostrano segni positivi. Molti meditano di abbandonare questa coltura, ma attenzione, perché il 2019 può rivelarsi un anno positivo per coloro che non daranno retta allo scoramento di questi giorni e insisteranno ancora una volta su una coltura che, soprattutto al sud, non ha alternative.

Il noto agronomo Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia consiglia di meditare su quattro aspetti da non trascurare prima di decidere cosa fare nelle prossime settimane.

1) La situazione di mercato del 2019 vedrà quasi certamente un calo dell’offerta di grano duro, con la conseguenza di un aumento dei prezzi, per il più che verosimile aumento delle superfici a grano tenero, che recentemente ha goduto di andamenti favorevoli a tal punto che il valore attuale dei due prodotti è quasi identico.

2) La politica agraria nazionale, che tende a difendere il Made in Italy, presta grande attenzione al grano duro con sostegni quali il pagamento accoppiato, che nel 2019 raggiungerà 100 euro/ha, e il “Fondo grano duro”, con un aiuto di 200 euro/ha per un massimale di 50 ettari seminati per ciascuna azienda agricola che sottoscrive un contratto di coltivazione della durata triennale.

3) La possibilità di gestire la volatilità dei prezzi con i contratti di coltivazione. Quest’anno, proprio nel momento di massimo successo dei contratti di coltivazione, molti agricoltori non hanno raggiunto il livello merceologico e qualitativo previsto, subendo delle perdite di prezzo. A questo punto sono tornati a serpeggiare scoraggiamento e avversione verso i contratti, ed è comprensibile, ma questa è una strada da non abbandonare, cercando nell’ambito della filiera di studiare delle soluzioni per gestire le annate avverse, ad esempio con specifiche coperture assicurative.

4) Le analisi economiche dell’agricoltore non devono fermarsi all’ultima annata produttiva, ma prendere in considerazione un periodo di almeno 5-10 anni. Frascarelli sostiene che, se consideriamo i redditi degli ultimi cinque anni, il grano duro non ha tradito, soprattutto nei confronti di altre colture.

Aggiungiamo infine che occorre maggiore attenzione ai costi di coltivazione, soprattutto dove si possono risparmiare alcune centinaia di euro, come nel caso della gestione del terreno applicando le tecniche conservative al posto delle lavorazioni tradizionali.

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