Agricoltura: dopo un’annata buona per tutti, non fermate la corsa all’innovazione

Attraverso ogni giorno le campagne italiane, visito le aziende agricole dal 1978 e so bene che dopo un’annata come il 2020, mediamente ottima per i prezzi e la qualità dei raccolti e buona per le produzioni, in molti diranno: «Altro che spendere in innovazione. Senza satellitare, senza sistemi di precisione e con il buon aratro del papà, ho fatto produzioni record!».
Invece le buone annate per i seminativi, come appunto il 2020, nascondono sempre un’insidia: quella di rallentare la corsa all’innovazione, che accelera il passo quando il bilancio si fa rosso ma tende a rallentare quando il portafogli è pieno.
Quest’anno, diciamolo chiaro, anche i tradizionalisti e coloro che hanno commesso errori marchiani in campo dalla semina alla raccolta, se la sono cavata più o meno bene, e così si fa forte la tentazione a «dimostrarsi più furbi del vicino che ha speso soldi in macchine, attrezzature e sistemi satellitari e alla fine non è che ha prodotto molto di più».
Lo abbiamo detto tante volte: la singola annata non dice nulla, sia in termini agronomici che in termini di mercato. In agricoltura, se si fanno bene i conti, ciò che indica la strada da percorrere è solo la media di quello che è successo ai costi e ai ricavi negli ultimi 6-7 anni. Non si può ragionare su un tempo più ristretto, perché sono troppe le variabili in gioco da un’annata all’altra.
Dunque, amici agricoltori, il nostro messaggio è forte e chiaro: le lavorazioni conservative, la digitalizzazione, l’utilizzo di sistemi intelligenti capaci di razionalizzare l’uso dei mezzi tecnici, la tracciabilità totale di quello che si fa in campo, i contratti di coltivazione, le rotazioni ampie e supportate dalle cover crops, non vanno abbandonati perché sono le chiavi indispensabili per dare un futuro economico all’azienda agricola. E non da ultimo, indispensabili anche se si vorranno ottenere i contributi della nuova Pac, che finalmente misurerà il tasso di innovazione presente nelle aziende, per valutare se queste meritano davvero i contributi europei.