Roberto Bartolini25 Settembre 20208min5950

Il digitale 4.0 fa decollare le imprese agricole, ma occorre investire in formazione

20140806_112137

Lo certifica una recente indagine del Censis: dove internet viene più utilizzato dalle imprese, il prodotto interno lordo è più alto. Ma l’Italia è ancora ultima in Europa per competenze digitali. In agricoltura le cose non vanno molto meglio, anche se negli ultimi 3-4 anni c’è stato un bel balzo in avanti nell’acquisto di software, hardware e attrezzature 100% Isobus.

Allora va tutto bene? Niente affatto, perché chi pesta terra tutti i giorni si accorge che ancora troppi agricoltori e contoterzisti hanno sì in azienda le tecnologie 4.0, ma in molti casi non le utilizzano o lo fanno solo in minima parte. Nel caso dei contoterzisti, il motivo addotto dagli interessati ricade sempre nella solita lamentela: «Noi offriamo all’azienda agricola un servizio in più che poi non ci viene pagato», e riguarda per esempio le mappe di raccolta, che ormai tutte le mietitrebbie in circolazione sono in grado di produrre. Ma la verità sta da un’altra parte.

Competenze informatiche e agronomiche insieme

C’è carenza di competenze specifiche in materia digitale ma anche agronomica, dato che le due cose vanno di pari passo. Oggi in agricoltura non serve a nulla un grande esperto informatico che poi non sia un bravo agronomo. E qui casca l’asino.

Un esempio pratico per capire cosa ci manca: quando si realizza una mappa di raccolta, successivamente si deve essere in grado di capire perché in quella zona si è prodotto 130 e in quell’altra solo 80. Non basta l’esperienza dei nostri vecchi, che sanno tutto della loro terra. Occorre far eseguire una mappatura dei terreni dove è passata la trebbia che ha prodotto quella mappa di produzione. Dalla mappatura dei terreni si ottengono decine di mappe specifiche che fotografano lo stato del terreno punto per punto, sia dal punto di vista fisico sia chimico. Una mole di informazioni che l’agricoltore non ha mai visto prima, e che raccolgono tutti i dati di cui ha bisogno. Quelle mappe però vanno lette e interpretate, per poi decidere cosa fare per cercare di omogeneizzare verso l’alto la produttività degli appezzamenti. Come? Dosando in maniera variabile, punto per punto, la semente, i concimi, i digestati, i liquami e anche i diserbi. E magari cambiando anche il tipo di preparazione del letto di semina.

Mappa di produzione dove i diversi colori certificano che le produzioni cambiano nelle diverse aree del campo. Si va da 18,9 a 14,7 t/ha.
Una mappa del suolo dove i diversi colori indicano caratteristiche differenti del terreno.
Una mappa di prescrizione per la distribuzione a dose variabile dell’azoto.
Mappa di prescrizione
Mappa di prescrizione elaborata da Climate Field View per la semina del mais a dose variabile: si va da 90,6 a 95,6 mila semi a ettaro.

Servono due tipologie di competenze

Per intraprendere questo cambiamento occorre utilizzare le mappe di prescrizione, che vanno ideate (ecco l’esperienza decisiva dell’agronomo), realizzate e trasferite sulle attrezzature in campo (ecco l’esperienza altrettanto decisiva dell’informatico). Non è semplice “smanettare” tra computer, tablet, software e via dicendo, tanto più che ancora si incontrano problemi “di colloquio” tra le diverse attrezzature e i trattori, e quindi sovente si alzano le mani e l’impellenza dei lavori consiglia di lasciar perdere. Ma questo è un peccato mortale, perché se non si sfruttano le tecnologie innovative si lasciano tanti quintali in terra e si sprecano mezzi tecnici, gasolio e ore di lavoro.

Corsi gratuiti di formazione per area geografica

Allora cosa ci vuole? Occorre mettere mano a un programma nazionale di formazione sul digitale 4.0 degli agricoltori e dei contoterzisti, con corsi veloci, molto pratici e gratuiti zona per zona, area per area. Non devono muoversi gli agricoltori, bensì devono andare da loro i formatori. Non si può lasciare questo compito strategico per la nostra agricoltura solo alla buona volontà dei singoli come avviene oggi, con una serie di iniziative sparse per la penisola molto diversificate e non sempre ben finalizzate, senza alcun coordinamento.

Mipaaf, se ci sei batti un colpo

Il Ministero delle politiche agricole ha varato anni fa il piano per digitalizzare l’agricoltura, ma come al solito si è fermato alle buone intenzioni. Ora che la digitalizzazione dell’Italia è al centro del recovery fund che inonderà il nostro paese di risorse mai viste, è ora che qualcuno dica che anche gli agricoltori ne devono usufruire. Ma non basta fornire denaro per acquistare le tecnologie: occorre prima spendere denaro per formare gli operatori agricoli. E prima ancora, occorre formare i formatori.

Quindi, diamoci da fare. Altrimenti succede come con la scuola: si portano i computer in classe, ma nessuno li sa usare.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato I campi obbligatori sono contrassegnati


Chi siamo

Nato nel 2014, Il Nuovo Agricoltore è un portale informativo dedicato all’agricoltura, con un occhio di riguardo alle innovazioni tecnologiche. Il progetto è sviluppato da Kverneland Group Italia.


CONTATTACI