Roberto Bartolini6 Maggio 20225min27090

Agricoltura, mais ancora in declino: meno semine su 55mila ettari

mais

Nonostante gli appelli a puntare sul mais grazie agli ottimi prezzi della granella, gli agricoltori italiani per le prime semine hanno virato decisamente sulla soia, che ha aumentato la sua superficie di almeno il 15% rispetto al 2021. I prezzi stratosferici dell’azoto e lo spauracchio della penuria di acqua per l’irrigazione (oltre a quella che viene dal cielo, sempre più rara) hanno raffreddato ulteriormente gli entusiasmi, e così il mais continua inesorabilmente il suo declino.

Per fortuna gli allevatori e i produttori di granella che raggiungono alte rese ettariali non si sono fatti scoraggiare e il mais lo hanno seminato, indice che la questione di fondo rimane sempre quella del livello produttivo che si raggiunge. Il grafico che segue, presentato da Amedeo Reyneri dell’Università di Torino nel corso dell’audizione di un gruppo di esperti alla Commissione agricoltura della Camera dei deputati, dimostra l’andamento delle superfici e delle produzioni medie dei seminativi in Italia.

La superficie occupata dai seminativi in 40 anni (1960-2020) si è dimezzata passando da 6 a circa 3 milioni di ettari, ma quello che più preoccupa è l’andamento delle produzioni. Infatti, come si vede dal grafico di destra, mentre dal 1960 al 2000 le rese di tutti i seminativi sono cresciute costantemente, con un incremento di 239.000 tonnellate all’anno, dal 2000 l’andamento si è invertito: in vent’anni (2000-2020) le rese ettariali medie nazionali di tutti i seminativi sono diminuite anno dopo anno, con un decremento di 330.000 tonnellate all’anno.

L’andamento negativo della produzione unitaria riguarda anche il mais ed è su questo fenomeno, alquanto paradossale, che dobbiamo tutti interrogarci per capire come mai, con tutti i mezzi tecnici più moderni di cui disponiamo, le rese per ettaro sono in declino.

Occorre un’analisi oggettiva di ciò che si fa in campo

La risposta è più che mai urgente oggi, che siamo costretti da eventi imprevedibili sino a qualche mese fa, come la mancanza di materie prime sui mercati mondiali, ad aumentare le nostre produzioni nazionali. La genetica ha continuato a progredire, la chimica e la meccanica anche, e in più, rispetto al 2000, disponiamo della digitalizzazione che ci permette di avere dati certi sulle caratteristiche dei terreni, sugli andamenti climatici, sul sopraggiungere di avversità biotiche e sullo stato delle colture nel corso del periodo vegetativo. Eppure, nonostante il progresso, produciamo di meno.

Ogni agricoltore deve guardare nella propria realtà aziendale e farsi delle domande, ma certamente le limitazioni territoriali all’uso della chimica (agrofarmaci e fertilizzanti) ed il progressivo impoverimento di fertilità dei terreni, oltre che la minore attenzione da parte degli imprenditori agricoli ai principi agronomici rispetto al passato, sono alcune delle risposte che cerchiamo.

Le scelte che agricoltori e i contoterzisti devono fare ogni volta che impostano una coltura non possono essere più casuali e approssimative o dettate dalla tradizione. E non ci sono più i generosi aiuti della Pac di un tempo, che permettevano qualsiasi errore in campo e in stalla, tanto poi i conti tornavano sempre..! Anzi, forse proprio quella politica europea che negli anni passati ha riversato aiuti spropositati sulle campagne, ha fatto rilassare troppo i nostri agricoltori.

Errori e distrazioni si pagano cari

Oggi, sin dalla scelta della varietà e dell’ibrido, dalla preparazione dei letti di semina, dall’impostazione delle strategie di diserbo, difesa e concimazione, occorre agire con grande competenza e professionalità, senza mai stancarsi di cercare informazioni ovunque si trovino e riscontri operativi da parte dei colleghi più innovatori. Mettiamo da parte una buona volta quell’autoreferenzialità che fa dire ancora a tanti agricoltori “io so come si coltiva la mia terra e non ho bisogno di consigli da parte di nessuno”. È un modo di fare che non paga, e il declino produttivo dei seminativi lo dimostra.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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