Biogas: dal trinciato di mais e dal contoterzista dipende gran parte del successo economico

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L’operazione di trinciatura del mais destinata ad alimentare l’impianto di biogas è molto differente da quella che occorre per produrre l’insilato destinato alla stalla. Il bovino, infatti, ha bisogno della fibra per mantenere sano e attivo il suo apparato digerente, mentre nel digestore dell’impianto di biogas deve entrare un mais trinciato molto più finemente, e per questo il contoterzista deve impiegare il rompigranella per facilitare l’aggressione da parte dei batteri.

In una pianta di mais, osserva Roberto Guidotti di Unima, il grosso del metano che serve all’impianto di biogas deriva dall’amido contenuto nella granella e molto meno dalla cellulosa di cui sono fatti stocco, foglie e tutolo. Inoltre, più la pianta di mais è secca, più diminuisce la digeribilità della sostanza organica: i digestori progettati per impiegare biomassa vegetale dispongono di accorgimenti che idrolizzano la cellulosa trasformandola in amido e aumentano l’efficienza dell’impianto.

La qualità dell’insilato è un punto chiave del successo

Il buon funzionamento del biogas dipende in buona parte dalla qualità dell’insilato di mais e dalla sua buona conservazione nel silo. Se il prodotto è raccolto dal contoterzista con il giusto grado di umidità ed è ben pressato in modo da ridurre il contenuto di ossigeno, il processo di fermentazione trasforma parte degli zuccheri in acidi organici, che sono proprio quelli che permettono la lunga conservazione dell’insilato perché evitano la proliferazione di microrganismi dannosi e la sua decomposizione. Occorre ricordare che un silo mal fatto può far perdere anche il 15% del metano che potenzialmente si può ricavare da un buon trinciato di mais.

La perfetta compressione della massa insilata è una delle chiavi di successo per ottenere un insilato ben conservato e di alta qualità.
La perfetta compressione della massa insilata è una delle chiavi di successo per ottenere un insilato ben conservato e di alta qualità.

Un lavoro a regola d’arte deve essere pagato

Dunque il contoterzista ha un ruolo decisivo nei confronti del buon funzionamento dell’impianto di biogas e la sua trincia è impegnata al massimo, con tempi di lavorazione e consumi più alti che fanno lievitare inevitabilmente il costo della lavorazione.

D’altra parte la trinciatura fine, compresa tra 6 e 10 mm, e la rottura della granella aumentano il rapporto tra superficie e volume dei frammenti, garantendo il pieno sfruttamento dell’energia presente nel trinciato.

Se l’impianto di biogas lavora in perdita perché ha pagato troppo l’affitto dei terreni o il mais acquistato in piedi, perché non ha azzeccato il momento giusto di raccolta, perché insila male il trinciato o perché impiega un digestore più adatto a lavorare coi reflui zootecnici rispetto alla biomassa vegetale, ecco che non ci sono euro per pagare come si dovrebbe un contoterzista che lavora bene.

Per alimentare un impianto di biogas la trinciatura deve essere fine ed effettuata al momento giusto, dotando la macchina di un rompigranella ben regolato.
Per alimentare un impianto di biogas la trinciatura deve essere fine ed effettuata al momento giusto, dotando la macchina di un rompigranella ben regolato.

Con 200 euro all’ettaro si lavora in fretta e male

Il contoterzista che si offre a 200 euro/ha non ha scelta: deve lavorare in fretta e male, con macchine non ben regolate e con un livello di qualità basso se vuole starci dentro con i costi, e così si innesca una spirale che porta danni non solo all’agricoltore, ma anche al terzista stesso.

Girando per i campi se ne vedono di tutte: mais troppo maturo, trinciatura grossolana e pressatura insufficiente nel silo, e così esce un trinciato scadente che fa produrre meno metano e meno energia elettrica. In questi casi, se i conti del biogas non tornano… le ragioni ci sono!

L’agricoltore che pensa di risparmiare nella trinciatura tirando sul prezzo è destinato a perdere in termini di kW/ore/prodotti da 2 a 5 volte rispetto a quanto ha risparmiato in fase di raccolta e insilamento.

Solo con l’efficienza si mantiene in vita il biogas

Gli impianti di biogas che faticano a pagare affitti, fornitori e contoterzisti sono proprio quelli che hanno dedicato scarsa attenzione alla qualità del mais e delle lavorazioni. Quando dopo alcuni anni motori, alternatori, pompe di circolazione e agitatori dell’impianto presentano il conto, ecco che molte aziende vanno in crisi perché mancano i soldi per le manutenzioni, ma poi l’impianto si ferma. E se si ferma non c’è più fatturato e si innesca una spirale perversa.

Molte perplessità sul biogas italiano. Anche se…

Ormai possiamo essere in grado di fare un bilancio sul mondo del biogas in Italia. Le perplessità non mancano, soprattutto verso quella programmazione territoriale che non è mai stata fatta e che ha prodotto un tumultuoso e arrembante proliferare di impianti di grandi dimensioni, anche vicini l’uno all’altro, che ha prodotto notevoli trasformazioni e scompensi nella struttura produttiva agricola.

Trecento ettari di mais dedicato al biogas, che è la base di partenza per alimentare un impianto da 1 MW, portano a rinunciare a 4000 tonnellate di granella da destinare all’industria mangimistica che continua ad aumentare le sue importazioni dall’estero. Ma creano anche un danno economico a essiccatoi, stoccatori e commercianti di cereali; per non parlare del caos generato nel mercato dei contoterzisti, che hanno dovuto acquistare trince e svendere le mietitrebbie con investimenti di oltre 300 mila euro.

C’è poi la questione affitti della terra: la proliferazione del biogas ha fatto lievitare i prezzi con punte di 1300 euro/ha, assolutamente improponibili per un agricoltore che non ha biogas.

I casi di successo hanno una radice comune

Nonostante quanto abbiamo appena raccontato, non mancano i casi di successo che si riscontrano in quelle realtà dove si è costruito un rapporto di fiducia tra l’agricoltore che ha il biogas e il contoterzista, fondato sulla professionalità e la competenza e dove il contoterzista offre all’impianto una gestione completa della parte agronomica, fino alle manutenzioni ordinarie dell’impianto stesso. Così facendo, la resa finale in termini di kWh soddisfa economicamente entrambi gli imprenditori e dimostra che solo con la capacità organizzativa e gestionale si fanno tornare i conti, battendo la concorrenza non sul costo della singola operazione, bensì sulla resa economica complessiva dell’impianto.

Insomma, in campagna ormai c’è posto solo per veri professionisti.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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