Roberto Bartolini1 Agosto 20164min10480

Grano duro: il crollo del prezzo di mercato era un fenomeno che si poteva prevedere. Ecco perché

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Quando succedono crisi di mercato come quella di quest’anno che ha colpito il frumento, tutti si lamentano e scaricano le colpe al vicino, ma pochi cercano le ragioni del fenomeno per vedere se la prossima volta si possono evitare o almeno limitare i danni.

Ricordiamo che il prezzo del grano duro, che nel 2015 si attestata sui 315 euro/t; nel 2016 è di appena 180 euro/t.

Una crisi di mercato ciclica che arriva ogni 4-8 anni

«Non c’è da meravigliarsi della crisi del frumento – dice Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia sull’ultimo numero dell’Informatore Agrario – era inevitabile che succedesse per due motivi. Primo: un andamento climatico favorevole che ha portato l’offerta di grano duro nazionale a 5,5 milioni di tonnellate, contro una media solita di 4 milioni di tonnellate. Secondo: si è seminato più grano perché negli ultimi 5 anni il suo prezzo si è mantenuto su un livello più alto di quello di orzo, grano tenero e mais. Così gli agricoltori, non pensando al mercato ma solo al portafoglio, hanno aumentato le superfici investite».

Tutto ciò era già successo nel 2004 e nel 2008-2009, quindi si tratta di una crisi di mercato ciclica che arriva puntuale ogni 4-8 anni. Si poteva evitare il crollo del prezzo?

Gli effetti negativi della volatilità si possono limitare

Secondo Frascarelli è possibile evitarlo, a una condizione: cioè «se gli agricoltori fossero più imprenditori e se l’Italia avesse una politica agraria, perché il prezzo nasce dall’incontro tra domanda e offerta. La volatilità dei prezzi ci sarà sempre, ma i suoi effetti si possono attutire con comportamenti diversi dagli attuali. Cioè con i contratti di coltivazione e con l’aggregazione dell’offerta».

Anche noi sul Nuovo Agricoltore lo diciamo da tanto tempo, ma nessuno muove un dito in questa direzione con un piano organico nazionale.

Le misure anticrisi del Mipaaf serviranno a poco

Il pacchetto di misure anti crisi grano duro del Mipaaf (vedi notizia) sono certamente meglio di nulla, ma difficilmente potranno risolvere il problema. Ecco perché, secondo Herbert Lavorano: «Per il sostegno agli investimenti (stoccaggio, essiccazione, eccetera) e alla logistica, con 10 milioni di euro si può fare ben poco a causa delle ristrettezze che gravano sui crediti alle imprese. Per i contratti di filiera l’intervento di sostegno è stato spostato dalla contribuzione a fondo perduto a quella in conto interessi. È poco efficace perché il problema oggi non sono gli oneri finanziari bensì l’accesso al credito anche se agevolato».

Il nodo da sciogliere è l’organizzazione della produzione

Sino al marzo 2016 era possibile fissare vendite di grano a 240 euro/t, ma pochissimi ne hanno approfittato. Perché il problema più grosso rimane l’organizzazione della produzione, che rimane frammentata e non può esprimere un’offerta coordinata, utilizzando gli strumenti che ci sono a copertura dei rischi di prezzo come i futures, i mercati a termine, i contratti a prezzo chiuso. Ma tutti questi strumenti chi li spiega e li propaganda presso i nostri cerealicoltori? Nessuno, nemmeno il piano del ministro Martina.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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