Il grano duro non tradisce e rimane la coltura numero 1 in Italia

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Siamo sempre a 1,2 milioni di ettari investiti anche nel 2017, e così il tanto discusso grano duro rimane la principale coltura italiana, seminata da nord a sud. Le rese 2017 sono state mediamente buone, ma il dato più eclatante è che si è registrata una qualità eccezionale, sia come peso specifico sia come tenore proteico.

Abbiamo intervistato Angelo Frascarelli, agronomo e docente all’Università di Perugia, per indagare le ragioni di questo successo produttivo.

Angelo Frascarelli, è stato un anno fortunato?

«Certamente l’andamento climatico ha influito: la pianta è entrata in spigatura presto, non c’è stato dilavamento dell’azoto e non ci sono stati nemmeno attacchi fungini data la grande siccità. Ma bisogna anche tener conto di altri due elementi importanti, soprattutto per il futuro prossimo:

  1. Il miglioramento della tecnica colturale, perché gli agricoltori hanno concimato come si deve e hanno utilizzato varietà moderne a più alto contenuto proteico.
  2. Lo stimolo dei contratti di coltivazione sottoscritti, che spingono gli agricoltori ad applicare una buona tecnica per rispettare i disciplinari di produzione e gli obiettivi contrattuali.

Forse per la prima volta l’Italia, grazie all’alto contenuto proteico della produzione di grano duro nazionale, potrà fare a meno di una parte di partite di prodotto estero ad alto contenuto di proteine».

Allora le lamentele degli agricoltori non sono giustificate?

«L’agricoltore non deve commettere l’errore di fare scelte di breve periodo, cioè decidere di seminare o meno in base al prezzo di oggi. I conti economici vanno fatti sulla base di 5-10 anni; infatti se guardiamo i prezzi medi degli ultimi cinque anni, il grano duro non ha tradito le aspettative, attestandosi a circa 260 euro/tonnellata, sempre al di sopra del grano tenero. In secondo luogo l’agricoltore deve pianificare la sua produzione in funzione delle esigenze degli utilizzatori e stabilizzare il prezzo per evitare gli effetti degli sbalzi di mercato».

Come può farlo?

«L’unica via è quella di stipulare un contratto di coltivazione e per fortuna oggi imprese molitorie e pastarie ne propongono per tutti i gusti. Un agricoltore capace di ottenere buoni livelli di proteine può scegliere un contratto ambizioso e remunerativo in termini di premi aggiuntivi sulla qualità, mentre altri possono limitarsi a contratti sulla base di livelli qualitativi minimi, ma con modalità di consegna predefinita e un prezzo fissato a contratto».

Avaro agricoltor non fu mai ricco

Insomma, quello che non bisogna fare è produrre senza pensare a chi acquisterà il proprio prodotto, affrontare da soli il mercato e risparmiare sui mezzi tecnici. Sembra un ragionamento semplice, ma i nostri granicoltori fanno fatica a capirlo.

Sul muro di una cascina emiliana si legge: “Avaro agricoltor non fu mai ricco”. È stato scritto dall’agricoltore come monito per i colleghi vicini di casa che non capiscono come mai lui se la cava sempre meglio di loro.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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