Il terreno agrario non gode di buona salute e il mondo si allea per salvare il cibo e l’ambiente

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La notizia è poco nota, ma fa scalpore. Nel 2012 le Nazioni Unite hanno lanciato la “Global Soil Partnership” (GCP), un’alleanza mondiale per correre al capezzale dei suoli agrari gravemente malati e per troppo tempo ignorati dalle politiche internazionali. Tra le azioni concrete da mettere in campo, la prima riguarda proprio la gestione sostenibile dei suoli agrari per proteggerli dalla loro progressiva degradazione, tant’è che la Pac 2014-2020 ha dedicato alla gestione conservativa del suolo una misura specifica di sostegno (la M10) per finanziare gli agricoltori che si impegnano ad abbandonare le tecniche invasive come l’aratura e l’erpicatura.

Perché il suolo agrario può frenare i cambiamenti climatici

La FAO ha riunito di recente centinaia si scienziati in un’assise dedicata al ruolo del terreno agrario come deposito di carbonio organico, cioè quello che emesso in atmosfera, che è una delle cause principali dei cambiamenti climatici che stiamo vivendo. Pensate che nel primo metro di suolo di tutto il mondo si trovano stoccati ben 1.500 Pg di carbonio organico, molto più di quanto ne contengano insieme l’atmosfera (800 Pg) e tutta la vegetazione del pianeta (500 Pg).

Evitare che il carbonio del suolo inquini l’atmosfera

Quello relativo al suolo è però purtroppo un dato non immobile, dal momento che alcune pratiche agronomiche tradizionali e poco corrette, come le arature, fanno migrare il carbonio dal suolo all’atmosfera sotto forma di anidride carbonica o di metano. Se si praticano invece il sodo, la minima lavorazione o lo strip-till, il contenuto del carbonio del suolo aumenta e sono sufficienti limitati incrementi percentuali per trarne un beneficio considerevole a livello globale.

Mille anni per fare un centimetro di suolo agrario

Per formare 1 cm di suolo sono necessari 1000 anni, il 90% della biodiversità è nel suolo e in un grammo di esso vivono milioni di microrganismi ai quali è demandato il compito di rendere disponibili per le piante gli elementi nutritivi necessari alla loro crescita. Dal suolo dipende oltre il 95% della produzione di alimenti che ci consente di vivere su questo pianeta.

La sostanza organica nei nostri terreni è troppo scarsa

I suoli italiani non stanno bene a causa di un’allarmante scarsità di sostanza organica, che è il primo fattore di crescita delle popolazioni microbiche. I nostri terreni agrari hanno mediamente un contenuto di sostanza organica pari a 1,5%, ma in molte regioni la dotazione scende al di sotto dell’1%: troppo poco per garantirci un futuro di produzioni capaci di soddisfare la sostenibilità economica degli agricoltori e quella alimentare dei consumatori.
In Italia le aree sensibili alla riduzione della produttività economica e biologica dei suoli diretti verso la cosiddetta desertificazione (che è il punto di non ritorno verso un livello minimo di fertilità) costituiscono circa il 30% del territorio nazionale.

Occorrono azioni più incisive sul mondo agricolo

Ecco perché c’è l’urgenza di indirizzare tutti i nostri agricoltori verso l’adozione di sistemi innovativi di gestione del terreno, che comprendono l’uso di attrezzature di ultima generazione, inerbimenti permanenti tra due colture principali e sistemi digitali collegati ai satelliti per razionalizzare l’uso dei mezzi di produzione. Non dimentichiamo che un terreno più ricco di sostanza organica è più fertile e fa produrre di più e di qualità, trattiene meglio l’acqua e le sostanze minerali che restituisce quando sono necessarie alle colture, ha una migliore struttura, una migliore porosità e reagisce meglio agli stress idrici o al dilavamento.

A livello mondiale, tutti gli organismi nazionali e internazionali di ogni ordine e grado e tutta la comunità scientifica concordano sul fatto che i problemi legati ai nostri suoli sono gravi e devono essere affrontati alla svelta con azioni efficaci. Gli strumenti tecnici ed economici per salvaguardare il nostro suolo sono ormai a disposizione di tutti: a questo punto è necessaria una grande mobilitazione generale del mondo agricolo che informi adeguatamente gli operatori sulle cose da fare e li supporti nel cambiamento, che inevitabilmente va portato avanti senza preconcetti e legami a una tradizione che deve rimanere solo storia.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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