Roberto Bartolini29 Aprile 20197min23230

L’agricoltore pensa solo al trattore e lavora con attrezzature obsolete, ma sogna il digitale

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Nonostante un continuo calo delle vendite, è il trattore a essere ancora il primo oggetto di desiderio dei nostri agricoltori. In Italia ci sono 1,75 milioni di trattori contro i 4,8 milioni degli Stati Uniti, dove però la terra arabile è pari a 175 milioni di ettari contro i nostri 7,8 milioni. Dunque il paragone non tiene. Tanto che, nella classifica mondiale che riguarda il numero di trattori presenti nei vari paesi, l’Italia è saldamente ancorata al terzo posto, dietro a Stati Uniti e Giappone.

La superficie dominata da un trattore in Italia è pari a 4 ettari, contro i 15 ettari di Francia e Spagna e i 13 ettari della Germania, paesi dove però la superficie arabile va da 11 a oltre 18 milioni di ettari. Anche in questo caso le cifre dimostrano che per i trattori stiamo sprecando tanti soldi, solo per gareggiare con il vicino di campo. Così facendo, gli strumenti che possono davvero cambiare in meglio il conto economico delle aziende agricole – cioè le attrezzature che stanno dietro o davanti al trattore e i sistemi digitali nella loro più ampia accezione – non suscitano ancora tra gli agricoltori la considerazione che meriterebbero. E l’evidenza quotidiana del campo ci dice che, nonostante gli agricoltori lamentino conti in rosso, continuano a sprecare sementi, concimi, agrofarmaci, gasolio e ore di lavoro, solo perché utilizzano mezzi in gran parte obsoleti.

Acquisti poco mirati e scarso aiuto dai concessionari

Quando poi si acquista una nuova attrezzatura, spesso la scelta non è ben ponderata e mirata, perché quello che interessa di più sono solo il prezzo e lo sconto. E il contenuto tecnologico utile a razionalizzare i costi e ad aumentare la produttività viene sempre dopo. C’è da dire che anche i concessionari di macchine e attrezzature ci mettono del loro, dal momento che solo una piccola parte di essi è davvero in grado di spiegare in tutti i dettagli i vantaggi dell’innovazione tecnologica che espongono nei loro capannoni.

Insomma, il mondo sta galoppando molto rapidamente e la sensazione è che l’agricoltura non stia cogliendo l’attimo. Prendiamo come esempio la digitalizzazione, che sarà l’indiscussa protagonista dei prossimi anni: il valore economico dell’agricoltura di precisione nel mondo è pari a 7 miliardi di dollari, dei quali circa 1,9 in Europa, mentre in Italia la digitalizzazione in agricoltura vale appena 400 milioni di euro. Quindi la strada da fare è tanta. Da un paio di anni un certo risveglio nelle nostre campagne si coglie, ma si deve accelerare.

Troppi pregiudizi che frenano l’innovazione

L’agricoltore d’altra parte dimostra di sapere bene di che cosa ha bisogno, ma rimane ancora immobile. Un’indagine sui fabbisogni delle aziende agricole condotta su 1500 intervistati, riportata di recente dalla rivista Il Contoterzista, dimostra che la maggior parte degli agricoltori italiani indica come priorità il controllo dei costi, l’aumento della qualità delle produzioni e gli interventi per ridurre o semplificare il lavoro. Ma questo non corrisponde per caso all’identikit della digitalizzazione e dell’agricoltura di precisione? Certamente sì, ma nonostante l’agricoltura di precisione consenta di soddisfare i bisogni primari indicati dagli agricoltori, viene percepita ancora come una tecnologia troppo costosa e con effetti economici non ben determinati.

Il primo pregiudizio, annota Roberto Guidotti del CAI di Bologna commentando l’indagine, nasce dall’errata convinzione che la variabilità dei terreni sia un fattore verificabile solo su ampie superfici, e così in campagna si sente dire: «Non siamo mica in America!». Ma questo è un concetto completamente errato, dato che dal punto di vista della storia geologica e di conseguenza della composizione dei terreni, la massima variabilità spaziale si ha proprio in Europa e in particolare in Italia, dove tocchiamo estremi produttivi anche a distanza di poche decine di metri: così ne subiamo le conseguenze negative senza sapere il motivo per cui il fenomeno accade.

Poi c’è la questione delle dimensioni aziendali: occorre che l’agricoltore con pochi ettari, che non consentono investimenti di un certo tipo, si metta nelle mani del contoterzista.

Tre princìpi da scolpire sul muro di casa

Concludiamo con tre frasi che vorremmo trovare ben in evidenza in ogni azienda agricola che desidera rimanere sul mercato:

1.La frase più pericolosa è: “Abbiamo sempre fatto così”.

2. Dietro ogni azienda di successo, c’è qualcuno che ha preso una decisione coraggiosa.

3. L’innovazione è l’abilità di vedere il cambiamento come un’opportunità, e non come una minaccia.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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