L’agricoltura conservativa nelle aziende zootecniche porta molti vantaggi ambientali ed economici

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Finalmente anche la sperimentazione agronomica ufficiale, oltre ai tanti agricoltori che già la applicano, decreta che l’agricoltura conservativa nelle aziende con bovini e suini non solo è possibile, ma porta anzi a molti vantaggi. Il Crpa e l’Università cattolica di Piacenza hanno infatti realizzato nel periodo 2013-2015 il progetto in campo Emilia Blu-Agricoltura Blu, valutando l’impiego di liquame bovino e suino sia nell’agricoltura conservativa praticata su sodo, sia in quella convenzionale con aratura ed erpicature. I risultati sono stati pubblicati sull’Informatore Agrario e meritano grande attenzione da parte dei nostri agricoltori, dato che la categoria – soprattutto gli imprenditori con allevamento – ha sempre messo in discussione l’applicazione dell’agricoltura conservativa.

Cosa è stato fatto in campo

  1. Sistema convenzionale:
    • aratura ed erpicature;
    • dopo la raccolta del frumento il terreno è rimasto nudo sino alla semina successiva del mais;
    • applicazione del liquame con carrobotte e piatto deviatore.
  2. Sistema conservativo:
    • semina su sodo;
    • grano saraceno come cover crop e residui colturali in campo;
    • applicazione dei liquami con macchine a basso calpestamento e con interramento minimo con taglio verticale.
La semina delle cover crops risulta molto utile se si applicano sistemi di gestione conservativa del terreno.
La semina delle cover crops risulta molto utile se si applicano sistemi di gestione conservativa del terreno.

I risultati pratici dopo un biennio

Sostanza organica: nei primi 30 cm di terreno l’incremento è risultato maggiore nel sistema conservativo (2,37%) rispetto al sistema tradizionale con aratura (2,41%). Teniamo conto che il risultato si riferisce a soli due anni. Numerose esperienze di campo dimostrano come, grazie all’agricoltura conservativa, l’accumulo di carbonio organico varia da 0,5 a 2 t/ha/anno.

Struttura del terreno: nei primi 10 cm l’indice di struttura che misura la stabilità degli aggregati terrosi all’azione dell’acqua, è sempre superiore nel terreno a sodo.

Fosforo assimilabile: risulta sempre superiore nel sistema a sodo con effetti vistosi nel primo strato di terreno, dove si concentra grazie alla sua scarsa mobilità, alla liquamazione poco profonda e all’assenza di rivoltamenti del suolo.

Componente biologica: già dopo due anni si nota una maggiore presenza di fauna utile nel suolo a sodo rispetto all’arato.

Compattamento del suolo: misurato lungo un profilo di 40 cm di profondità dopo ogni ciclo colturale, mostra come il sistema a sodo – soprattutto nei primi 20 cm interessati dalle radici delle colture – risulti molto meno compatto rispetto all’arato.

Concentrazione di nitrati: sono risultati nettamente inferiori nel terreno conservativo.

Gas serra: il sistema di gestione conservativa del suolo è “carbon negative”, ossia non emette gas serra, anzi li assorbe. Infatti in due anni, con l’aratura nel sistema con allevamento bovino sono stati emessi 8.895 kg di CO2 equivalente/ha, mentre nel sistema con allevamento suino 9.944 kg CO2 equivalente/ha. Nella gestione a sodo nel sistema bovino, invece, sono stati sequestrati -2108 kg di CO2 equivalente/ha e nel sistema suino -3118 kg CO2 equivalente/ha.

Consumi di gasolio: rispetto all’aratura il sistema a sodo ha fatto risparmiare nell’allevamento bovino 322 kg/ha di gasolio e in quello suini 521 kg/ha.

Il bilancio costi/ricavi

Nel bilancio costi/ricavi la tecnica del sodo ha consentito un profitto superiore sia nell’allevamento bovino sia in quello suino, pari rispettivamente a 132 e 417 euro/ha. La conduzione convenzionale del terreno ha prodotto perdite di 76 euro/ha nell’allevamento bovino e di 215 euro/ha in quello suino al netto di qualsiasi contributo dai Psr.

Occhio alla “fame di azoto”

I residui colturali, che nel sistema conservativo rimangono sulla superficie del terreno, possono provocare una temporanea fame di azoto per le colture, specie nei primi anni di adozione di queste tecniche. Infatti l’apporto di biomasse a elevato rapporto carbonio/azoto come stocchi e paglie (C/N 50-80) può ridurre momentaneamente la disponibilità di azoto per le piante, dato che i microrganismi che li degradano devono alimentarsi con l’azoto e quindi esercitano una sorta di competizione alimentare con la pianta.

Ecco perché l’apporto di liquami zootecnici con rapporto C/N sbilanciato a favore dell’azoto (C/N 2-20) risulta di grande utilità in agricoltura conservativa, permettendo di compensare la fame di azoto e di risparmiare in concimi minerali.

I residui colturali che rimangono in superficie nei sistemi conservativi possono comportare una temporanea “fame di azoto” da parte delle colture.
I residui colturali che rimangono in superficie nei sistemi conservativi possono comportare una temporanea “fame di azoto” da parte delle colture.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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