L’ambientalista indiana Shiva critica, ma non conosce l’agricoltura moderna

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«Oltre a distruggere la biodiversità, l’agricoltura industriale è tra le responsabili della produzione di gas serra. L’agricoltura biologica invece riduce le emissioni e rende le coltivazioni più resistenti ai cambiamenti climatici, perché si basa sulla restituzione di materiale organico al suolo. Il materiale organico nel suolo migliora la capacità del terreno di trattenere l’acqua riducendo l’impatto di alluvioni e siccità. Con 2 tonnellate per ettaro di sostanza organica possiamo rimuovere 10 giga tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera. Un aumento dell’1% della sostanza organica nel suolo può aumentarne la capacità di trattenere acqua per 100 litri ad ettaro. La nostra sopravvivenza dipende da questa manciata di terreno. Se ne avrete cura farà crescere il nostro cibo, se ne abuserete il terreno collasserà e morirà insieme all’umanità».

Sono frasi scritte da Vandana Shiva, una nota ambientalista e attivista politica indiana che sarà presente anche all’Expo di Milano, tratte da un suo scritto su La Repubblica dei giorni scorsi.

È sconvolgente come ancora una volta si metta in relazione la cosiddetta agricoltura industriale con i più preoccupanti mali del pianeta. E quando si citano, con cognizione di causa, i vantaggi derivanti dalla valorizzazione di percorsi agronomici che rimettono al centro del sistema la sostanza organica, si attribuisca il merito solo all’agricoltura biologica, che per questo aspetto è certamente un sistema virtuoso, ma non è l’unico. Occorre infatti cominciare a togliersi la benda dagli occhi: gli agricoltori virtuosi sono molti di più.

L’agricoltura biologica non è il solo sistema virtuoso, perché la tanto vituperata agricoltura industriale da anni e anni applica sistemi di coltivazione, come ad esempio il sodo, lo strip-till e la minima lavorazione del suolo, che hanno proprio tra i loro principali obiettivi l’aumento della sostanza organica, la diminuzione delle emissioni di gas serra e il sequestro del carbonio nel suolo. Per non parlare delle cover crops o colture di copertura, che sono un altro mezzo formidabile per contrastare tutti i dissesti citati da Shiva e per migliorare la fertilità chimica e fisica del suolo.

La colpa è anche di un’informazione “che ignora”

La Shiva non sa che la nuova Pac, attraverso misure specifiche, ha sostenuto e sosterrà con ancora più forza sistemi di lavorazione virtuosi proprio nell’ambito di un’agricoltura “industriale” che, dopo anni forse di eccessivo sfruttamento di mezzi tecnici e di risorse naturali, da più di un decennio ha voltato decisamente pagina.

Che questo non lo sappia la Shiva che gira il mondo è grave, ma lo è altrettanto per chi scrive sui nostri quotidiani e parla di agricoltura sui vari canali televisivi. Giornalisti ed esperti che non si degnano mai una volta di dare un po’ di spazio all’informazione “dal e sul campo”, per far conoscere i passi da gigante che l’agricoltura moderna ha fatto sul fronte dell’impatto ambientale, della sanità, della qualità e della sostenibilità, senza che nessuno se ne sia accorto, anche se tutto il mondo siede a tavola almeno tre volte al giorno. E grazie, soprattutto, a chi fa agricoltura industriale!

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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