Lotta alla piralide del mais: il drone è più versatile e tempestivo dei trampoli

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È la seconda generazione della piralide del mais, quella più temuta e più pericolosa, che si diffonde dalla prima decade di luglio sino a tutto il mese di settembre, con voli più consistenti nell’intervallo tra metà luglio e fine agosto. E per combatterla, i trampoli non sono purtroppo sufficienti, ma occorre seguire altre strategie che illustriamo qui di seguito.

Attenzione agli stadi di sviluppo delle larve

Le larve hanno ben cinque stadi di sviluppo durante i quali danneggiano, con le classiche forature e gallerie, le foglie, lo stocco e le spighe attaccando prevalentemente peduncolo, tutolo e anche le cariossidi nei casi più gravi.

Come è noto i trampoli, il mezzo tradizionale per la lotta chimica alla piralide, non sempre giungono in tempo dall’agricoltore che così rischia di subire i danni, perché tutti i trattamenti si concentrano in periodi precisi e ristretti e quindi occorrerebbero molte più attrezzature di quelle che ci sono in Pianura Padana.

Ma da qualche tempo ha destato crescente interesse la lotta biologica alla piralide eseguita con il volo dei droni, che lanciano sulla vegetazione capsule di cellulosa che contengono le uova di trichogramma brassicae, un imenottero parassitoide.

Cento ettari al giorno con il drone

Il drone vola a un metro sopra la vegetazione e, tramite un distributore automatico, rilascia in maniera uniforme le capsule, potendo trattare una superficie di 100 ettari in un giorno di lavoro. Il lancio ha effetto sulla piralide solo se avviene all’inizio della deposizione delle uova, dato che è su queste che agisce il parassita nemico della piralide.

Il vantaggio del sistema consiste nella tempestività di intervento e nella possibilità di intervenire anche se il terreno dovesse risultare impraticabile.

Cosa occorre per far volare un drone in un’azienza agricola

«A livello normativo – spiega Antonio Vigoni di AgriDroni – l’utilizzo del drone non può essere visto come una qualsiasi macchina agricola, in quanto i mezzi aerei a pilotaggio remoto sono normati dall’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) che classifica il drone come vero aeromobile. Si tratta dunque di effettuare un’operazione specializzata, per lo svolgimento della quale occorre essere riconosciuti come operatore Sapr, avere un’assicurazione aereonautica ed essere in possesso di un attestato di pilota Apr e di un certificato medico di tipo Lapl. Inoltre vi sono zone interdette al volo dei droni e che quindi possono creare limitazioni».

Pur con le condizioni sopra esposte che impongono all’agricoltore di rivolgersi a ditte specializzate, crediamo che possa essere una buona idea fare almeno una prova di lotta biologica con i droni, dal momento che con i trampoli le garanzie di successo sono molto limitate.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


Un commento

  • daniele tiraboschi

    9 Novembre 2017 at 1:44 pm

    ma chi posso contattare per una prova nei miei campi?

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