Zecchini: “Antibiotic free e filiera certificata per riuscire a fare reddito”

«Oggi se non si hanno a disposizione almeno 150 ettari da coltivare con le colture estensive non si fa reddito, perché mancano i capitali per investire nell’innovazione. Quindi non rimane che farsi venire qualche buona idea». Mirco Zecchini in Friuli Venezia Giulia coltiva su circa ottanta ettari in prevalenza mais da granella destinato all’allevamento suinicolo, frumento foraggero per alimentare l’impianto di biogas da 250 kW e una ventina di ettari a prato stabile che in autunno verranno destinati a triticale.


Minima lavorazione e digestato al posto dell’urea
Zecchini è un agricoltore innovatore perché da tempo applica le minime lavorazioni al posto dell’aratura, irriga con sistemi di subirrigazione, pivot e impianti fissi automatizzati, utilizza il digestato per le concimazioni senza acquistare più concimi minerali e raggiunge produzioni medie di 145-150 ql/ha di mais base 25% di umidità.

Zecchini, quanto le costa coltivare un ettaro di mais?
«Fatti tutti i conti e dando valore anche al mio lavoro, arrivo a 1500 euro/ha. Eliminare l’acquisto degli azotati mi fa risparmiare parecchio. Distribuisco in pre-semina una piccola quota di digestato, interrandolo con un erpice a denti e dischi, mentre la maggior parte viene distribuita da un contoterzista in copertura per circa 200 unità di azoto per ettaro. Questo intervento costa circa 300 euro/ha».

“Essere innovatori non basta per far quadrare i conti”
Nonostante faccia tutto al meglio, Zecchini raggiunge risultati economici che non giudica soddisfacenti, quindi ha deciso di dare una svolta alla sua impresa agricola: «Chi si ferma sul modello agricolo del passato è perduto», afferma l’agricoltore friulano. «Occorre essere attenti ai cambiamenti che ci sono sul mercato e cogliere le nuove occasioni che si presentano. Noi agricoltori dobbiamo imparare a essere dinamici e adattarci alle novità, perché se rimaniamo fermi sulle nostre posizioni, non possiamo pensare fare reddito. Inutile lamentarsi dei prezzi di mercato: non ci possiamo fare nulla e contare sulle sovvenzioni dello Stato o sulla Pac non basta più. Così mi sono guardato attorno, mi sono informato, ho letto e contattato diverse persone e alla fine ho deciso che la strada nuova da battere è fare squadra, valorizzare la produzione dell’allevamento e creare una filiera certificata che raggiunga direttamente il consumatore».
Quindi che cosa è riuscito a mettere in piedi?
«Insieme ad altri 20 allevatori, la maggior parte con suini e una piccola parte con bovini, abbiamo costituito una rete di imprese insieme a due cooperative di trasformazione che hanno diversi punti vendita; inoltre stiamo ristrutturando un laboratorio dove si produrrà carne proveniente esclusivamente da nostri allevamenti “antibiotic free”».

La certificazione valorizza e distingue l’offerta sul mercato
Quindi è la certificazione “antibiotic free” il punto di forza dell’iniziativa?
«Certamente. La certificazione dei nostri trasformati provenienti da allevamenti “antibiotic free”, all’insegna del benessere animale, si distinguerà dalla massa dell’offerta e dovrebbe attrarre l’interesse di un consumatore sempre più attento a questi requisiti. Il laboratorio per la lavorazione delle carni consentirà a noi allevatori di intercettare quel valore aggiunto che normalmente rimane nelle tasche di altri soggetti. Infine è fondamentale poter contare su una rete di distribuzione che abbia specifiche esperienze per chiudere il cerchio e valorizzare tutto quello che si fa in campagna e in laboratorio».
Avete avuto sostegno da parte della Regione Friuli Venezia Giulia?
«Abbiamo ottenuto un finanziamento grazie alla legge regionale n. 26 del 2021 che ci ha consentito di partire. Mi rendo conto che è una bella sfida, ma sono contento di aver ottenuto l’adesione di partner che ci consentono di realizzare in fretta questo progetto. È l’unica strada da percorrere per mantenere in vita una impresa agricola come la mia e come tante altre che ci sono in Italia».