Cereali e soia, prezzi in picchiata: i motivi del crollo delle quotazioni

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Le semine primaverili sono in pieno svolgimento, ma già si sentono agricoltori che dicono: «Con questi prezzi, a ottobre lasceremo i trattori fermi nel capannone». Malumori dettati da un crollo delle quotazioni di frumento, mais e soia, che in effetti alcuni analisti non prevedevano.

Ucraina e Urss invadono il mercato

Secondo Mario Boggini di Officina Commerciale Commodities di San Angelo Lodigiano (Lodi), «la bolla speculativa in realtà è in atto dall’agosto 2020, poi è peggiorata con lo scoppio della guerra in Ucraina. Oggi assistiamo agli effetti di una forte immissione sul mercato europeo di merce proveniente dall’Ucraina che non trova sbocco nei paesi come Ungheria e Polonia, e di merce proveniente dalla Russia che continua a fare i suoi interessi commerciali. Aggiungiamo poi che i francesi trovano un mercato del Nord Africa appesantito e quindi riversano più prodotto in Europa, e che paesi come Serbia, Croazia, Slovenia, Romania e Bulgaria continuano a produrre e immettere prodotto sul mercato. Infine non dimentichiamoci che il caro vita ha tagliato in parte i consumi degli italiani, ed ecco che il mercato entra in una fase critica».

Ma in Ucraina un tempo non c’erano i dazi?

«Sì, ci sono stati fino allo scoppio della guerra», risponde Boggini. «E in questi giorni si sta parlando di reimmetterli a partire dal 1° luglio, ma solo se si superano determinati indici di importazione, quindi gli effetti sul mercato saranno molto blandi».

Quindi cosa si può prevedere per i prezzi di mais e soia?

«A mio parere il mais, con quotazioni di 190 euro/t, ha già toccato il punto più basso e quindi non può che migliorare; mentre per la farina di soia teniamo conto che le buone quotazioni dello scorso anno erano dovute alla mancanza di prodotto argentino. Al momento la quotazione della soia è su livelli diciamo che hanno ancora spazio per ridimensionarsi».

L’agricoltore italiano non conosce i mercati

In Italia l’agricoltore tende a tenersi il prodotto in casa, nella continua speranza di spuntare un prezzo migliore…

«Il conto deposito andrebbe abolito, perché è una delle cause di disturbo del mercato. Il produttore di seminativi è espertissimo di problematiche agronomiche ma purtroppo non dei mercati, quindi ritiene che trattenere il prodotto, nella speranza che il prezzo salga, sia la cosa giusta da fare. Invece si dovrebbe orientare su una immissione frazionata del suo raccolto sul mercato. Racconto un episodio accaduto tanti anni fa che dà il senso dello spirito con il quale il nostro agricoltore vive il mercato. Provai a impostare un mercato a termine per il mais, legando la vendita di lotti di una certa consistenza a quotazioni fissate a determinati periodi dell’anno per un arco di dodici mesi. Si alzò un agricoltore e disse: “Se fra sei mesi chi acquista fissa quel prezzo, vuol dire che sa già che il prodotto varrà molto di più, quindi non glielo vendo”. Ecco, la mentalità in Italia è questa. Se poi aggiungiamo che tutti vanno in ordine sparso e non si riesce a fare massa critica, è inutile lamentarsi della volatilità dei mercati».

I punti deboli dei contratti di coltivazione

In Italia non riescono a decollare definitivamente i contratti di coltivazione.

«I contratti di coltivazione hanno molti punti deboli, tra i quali la disparità di forze tra il produttore agricolo e il capofila del contratto. Le faccio solo un esempio: per l’analisi del prodotto e quindi per la corrispondenza alle caratteristiche fissate dal contratto, l’agricoltore deve sottostare a quello che dice l’acquirente, quando invece dovrebbe già arrivare al conferimento con analisi fatte in proprio per ribattere, con i dati, a eventuali contestazioni che non sono affatto rare e spesso compromettono il proseguimento del rapporto».

La Commissione europea pochi giorni fa ha presentato un documento nel quale si prospettano numerosi aggiustamenti normativi all’attuale Pac, e dove si legge che “si dovranno adottare strumenti per contrastare le crisi di mercato”. Sarebbe dunque possibile tornare a una politica europea che sostiene i prezzi quando scendono al di sotto di una certa soglia?

«Fino al 1991 c’erano gli ammassi volontari che cessarono con il crollo della Federconsorzi. Erano efficaci strumenti di tutela del mercato con i quali si stoccava la merce quando i prezzi erano bassi e la si immetteva sul mercato quando i prezzi salivano. Oggi si potrebbe prefigurare un sistema di ammasso europeo, sempre che si possano trovare i fondi necessari. L’Italia importa gran parte del suo fabbisogno di cereali e oleaginose, quindi non siamo certo noi che facciamo il mercato e che possiamo mettere in piedi da soli un sistema di salvaguardia. Lo potrebbe fare l’Europa, se ci fosse una convergenza di volontà politica tra i vari Stati membri. Un’eventualità sulla quale però nutro molti dubbi».

Arrivano i dazi sull’import dalla Russia?

La Commissione europea ha presentato lo scorso venerdì 22 marzo un provvedimento che porterà a un aumento dei dazi applicati ai cereali e ai semi oleosi provenienti da Russia e Bielorussia, per evitare una destabilizzazione del mercato nel caso di incremento delle importazioni russe. Le nuove tariffe, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, sono state fissate a livelli tali da essere sufficientemente alte da scoraggiare le importazioni. A seconda del prodotto specifico aumenteranno a 95 euro per tonnellata o a un dazio ad valorem del 50%.

Secondo fonti europee, la capacità di produzione russa di cereali è salita enormemente, da 35 milioni a 50 milioni di tonnellate. Nel 2023 la Russia ha esportato verso l’Ue 4,2 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi per un valore di 1,3 miliardi di euro. In Italia le importazioni dalla Russia sono cresciute nell’ultimo anno del 1.164%, al punto tale che il paese ha superato anche il Canada come principale fornitore estero dei produttori di pasta italiani.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


4 commenti

  • Luigi

    25 Marzo 2024 at 11:22 am

    È da tempo che non faccio più il conto deposito perché quando vendevo dopo aumentava,se aspettavo diminuiva ed era difficile indovinare quindi conferisco ma la situazione non è migliorata di molto. Penso che siamo ancora in pochi a fare questa scelta.

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  • camillo sborgia

    25 Marzo 2024 at 8:49 pm

    purtroppo la mia età ,la mia esperienza vi informa e nel gergo popolare ien campo agricolo agli agricoltori ti fanno il prezzo quando acquisti e ti fanno il prezzo quando vendi u tuoi prodotti. Tutto determinerà la svendita dei Terreni da parte degli agricoltori perché sono costretti a chiudere le aziende tutto questo determinerà la ricostruzione del latifondo affinché la ricchezza si concetra nelle mani di pochi

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  • Andrea

    26 Marzo 2024 at 7:28 pm

    Se l’ agricoltore non stipula contratti per non sottostare alle analisi che possono essere di parte si dovrebbe costituire una procedura affidata a terzi.
    Se l’ agricoltore non è parte della filiera non avrà mai un prezzo finale compatibile con il costo di produzione.
    Se l’ informazione non parla della filiera è per tutelare gli interessi economici degli attori. A tutti conviene scaricare sul produttore iniziale, oltre che i rischi di produzione, anche un’ informazione carente sulla catena.

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  • Sandro

    26 Marzo 2024 at 8:23 pm

    Ma alla Russia non sono state applicate le famigerate sanzioni? O queste valgono solo per le nostre produzioni da esportare? Bell’affare!

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