Far conoscere le cover crops agli agricoltori di domani
È un’iniziativa di Condifesa Lombardia Nord Est e di alcuni agricoltori illuminati come Massimo Motti e Giacomo Lussignoli, quella di far conoscere le virtù delle cover crops o colture di copertura, protagoniste nella prossima nuova Pac 2015-2020, agli studenti dell’istituto di istruzione superiore agraria “ Vincenzo Dandolo” a Bargnano di Corzano (Brescia). Infatti quest’anno su due appezzamenti dell’istituto sono state seminate due cover differenti, una specie di rafano americano e dell’orzo, su residui colturali di mais. L’obiettivo è migliorare struttura stabile e fertilità del suolo nei mesi che intercorrono tra una coltura principale e quella successiva.
Mauro Agosti di Condifesa mette in luce i vantaggi che derivano dall’uso delle cover crops, una pratica che rientra a pieno titolo nei principi di gestione conservativa del suolo insieme a minima lavorazione e sodo e alla rotazione colturale. «Perché devo spendere soldi per una coltura a perdere? – dice Agosti – è la domanda ricorrente che mi fanno gli agricoltori. Io rispondo che la spesa si ripaga con i seguenti vantaggi: 1) riduzione dell’erosione del suolo, che anche in pianura è notevole, tant’è che quando piove i fiumi portano via miliardi di particelle di suolo fertile; 2) creazione di una struttura stabile del suolo grazie all’azione disgregante delle radici delle cover; 3) diminuzione dei fenomeni di compattamento con la formazione di uno strato di terreno soffice ideale per l’espansione radicale della coltura principale; 4) miglioramento della capacità di infiltrazione e di tesaurizzazione dell’acqua; 5) riduzione del dilavamento dell’azoto in falda; 6) fissazione della CO2 ; 7) incremento della attività biologica del suolo con il ritorno della microfauna utile tra cui i lombrichi; 8) riduzione della presenza di erbe infestanti».
Passando da un terreno arato a un terreno dove si applicano minima lavorazione e sodo e si seminano le cover crops, non immediatamente ma nel giro di qualche anno, si stabilisce un nuovo equilibrio che significa strutturazione ottimale del terreno (cioè formazione di macropori per la buona circolazione di aria e acqua) e incremento della presenza di funghi, batteri e altri microrganismi che creano nuova sostanza organica che poi si trasforma in humus, dando nuova vitalità al suolo, che è il bene più prezioso di cui dispone l’agricoltore. Anni di lavorazioni profonde e successive erpicature, che favoriscono i fenomeni di ristagno idrico e il compattamento, hanno distrutto la fertilità fisica e chimica dei nostri suoli portando la dotazione di sostanza organica ai minimi storici. Occorre dunque dare nuova vitalità ai terreni!
Ospite d’onore nella giornata tecnica presso l’Istituto di Bargnano è stato il prof. Richard Edwards della Perdue University degli Usa. «Oggi nella fascia del mais Usa chiamata Corn Belt – dice Edwards – una grande pianura che si estende dal Colorado alla Pennsylvania dove si seminano soprattutto mais e soia, 238 milioni di ettari sono a sodo, 189 milioni di ettari a minima lavorazione compreso strip till e 261 milioni di ettari sono rimasti alle lavorazioni tradizionali. Dunque le lavorazioni conservative avanzano a grandi passi, così come l’uso delle cover crops».
Un commento
giglio
5 Febbraio 2016 at 1:34 pm
mi interesso di agricoltura