Gli amanti dell’aratura si meriterebbero una PAC dimezzata
Sono anni che predichiamo di abbandonare le lavorazioni profonde del terreno, che hanno provocato danni incalcolabili alla struttura fisica e alla fertilità microbiologica dei nostri terreni, portando il contenuto di sostanza organica molto spesso al di sotto della soglia limite, cioè di “non ritorno” allo stato fertile.
Ma purtroppo, come mostrano le foto che pubblichiamo, soprattutto in certe zone, come ad esempio buona parte dell’Emilia- Romagna e in particolare in provincia di Bologna, gli “amanti” dell’aratura profonda stentano a cambiare strategia, convinti che lasciare la vecchia strada per la nuova comporti una diminuzione delle produzioni e quindi un danno economico.
Costoro, invece, arrecano danno a tutti noi e all’ambiente perché continuano a violentare i terreni, e quindi sarebbe opportuno che, come la Pac concede svariate centinaia di euro all’ettaro agli agricoltori che applicano la minima lavorazione e il sodo o semina diretta al posto dell’aratura, si prevedessero decurtazioni ai pagamenti diretti per tutti coloro che continuano a impoverire i suoli, a renderli più soggetti a smottamenti e lisciviazioni e a spendere un fiume di denaro per le arature profonde e tutte le successive lavorazioni di affinamento del terreno prima della semina.
I PaP, cioè i “patiti dell’aratura profonda”, dovrebbero quindi guardare con attenzione e non con supponenza, come continuano a fare, i tanti loro colleghi agricoltori che da anni e anni applicano con professionalità le tecniche conservative di gestione del suolo e così facendo hanno aumentato anno dopo anno le loro produzioni e ripristinato un adeguato livello di sostanza organica, anche senza l’aiuto delle letamazioni.
13 commenti
Brabe
29 Marzo 2015 at 6:51 am
A mio modesto parere va fatta una. Seria istruzione agli agricoltori X che ogni uno ha in testa la sua di minima lav. che nn ha nulla a che vedere con la vera minima e allora si che avranno benefici e guadagni.
Io sono pronto per svolgere lavorazioni di minima x chi ne volesse approcciare sistema
barbacane
19 Giugno 2015 at 11:08 am
Perché non fare una crociata?!? Le tecniche di coltivazione, aratura o non aratura hanno i suoi pro e contro… Non parliamo poi del tipo di terreno, del problema di patogeni, virus, ecc, nei residui colturali, del maggior uso di diserbanti… Se vogliamo fare la lotta a chi impoverisce i terreni portando via tutti i residui colturali va bene, ma interrare (anche con aratura), i residui colturali sia uno scandalo!!!
Roberto Bartolini
23 Giugno 2015 at 2:49 pm
Migliaia di ettari in Italia e milioni nel mondo negli ambienti più diversi dimostrano in maniera inequivocabile che, se si seguono alcune fondamentali attenzioni agronomiche già al momento della raccolta, l’abbandono completo dell’aratura profonda, e sottolineo profonda, non fa che portare vantaggi al portafogli dell’agricoltore e alla fertilità chimica e strutturale del suolo.
È indubbio che applicare le tecniche di minima lavorazione e di semina su sodo comporta per l’agricoltore alcune complicazioni iniziali e spesso una modifica della strategia agronomica, oltre alla necessità di mettere in campo tanta professionalità che spesso manca tra gli operatori. I quali preferiscono ogni anno azzerare la “situazione” del loro campo con una bella aratura profonda che cancella in un colpo solo gli errori fatti nel corso dell’anno. Gli agricoltori e i contoterzisti che invece da anni per colture come i cereali a paglia, il mais, la soia e il girasole hanno abbandonato le arature profonde e i successivi dannosi e costosi passaggi di affinamento per preparare il letto di semina, confermano con dati economici reali che la scelta è stata vincente. Anche se molto impegnativa – nessuno lo nega, soprattutto nei primi due o tre anni di conversione. Da quest’anno in tutti i PSR regionali c’è una misura specifica di finanziamento destinata proprio a sostenere gli agricoltori che adottano i sistemi di lavorazione conservativa del terreno in sostituzione dell’aratura. Chi ha buona volontà si faccia avanti…
Nino Chiò
15 Agosto 2015 at 8:54 am
In risaia le arature sono sui 20 Cm. Nel cuore del riso Si pratica la monocoltura perchè terreni naturalmente paludosi. La coltivazione porta a una naturale conservazione della S.O. . In inverno il freddo e, in estate la sommersione conserva , rallentando la decomposizione ,le paglie. Minima a 15 o aratura a 20 ? pratico entrambe a rotazione, la considerazioni sono che la minima costa poco e va nella direzione help soil (nn incentivata in piemonte) ma oltre a un passaggio di glifosate per il contenimento iniziale si aumentano le nascite scalari delle infestanti , così ai tre trattamenti di fitofarmaci si passa a 5 con risultati nn sempre perfetti, con particolare riferimento al “riso crodo” . In aiuto alla minima i risi CL. La minima in risaia un bel’ argomento, ampiamente diffusa. Servirebbe il passo successivo, semina diretta (poca esperienza in risaia), Speriamo nei nostri funzionari burocrati.
Roberto Bartolini
19 Agosto 2015 at 12:28 pm
Da quest’anno il PSR del Piemonte prevede, sino al 2020, finanziamenti nell’ambito della misura agro-climatico-ambientale, sotto forma di incentivi all’ettaro, per gli agricoltori che si impegnano ad applicare minima lavorazione e sodo al posto della tradizionale aratura. Vengono finanziate anche le colture azotofissatrici, l’avvicendamento delle colture e le cover crops. Quindi ci sono tutte le condizioni per provare a cambiare impostazione alla risaia; per non parlare dell’irrigazione con le ali gocciolanti (che sono finanziate nella misura investimenti) che stanno già dando ottimi risultati e che possono costituire la vera rivoluzione nella risicoltura, proprio per contrastare finalmente l’enorme utilizzo di acqua che comporta l’agrotecnica tradizionale. Continui a seguirci, perché di questi argomenti parleremo presto.
Marco Vidali
13 Ottobre 2015 at 10:03 pm
Bartolini mi scusi.
Lei ritiene profonde le lavorazioni al di sopra dei 40 cm (come da valori di agronomia classica)???
Ma chi è che ara (quando si ara) più profondo dei 40 ormai??? Chi è quell’agronomo che propaganda di approfondire più di 40/45cm(come caso limite)? E’mai possibile che il valore massimo di profondità ammissibile sia la divisione fra le arature medie e quelle profonde?
Di conseguenza andrebbero aggiornate le profondità soglia che vengono trasmesse al corso di Agronomia Generale! Per me (che non sono nessuno), al di sopra dei 35 cm oggi uno sta “effettuando un lavoro di rinnovo” e sino a 45 cm.
Oltre i 45 sino ai 60 cm, si dovrebbe definire come “lavoro di dissodamento”, ma invece gli studenti imparano ancora che “è aratura profonda”.
In un certo senso, sono i dogmi che propagano l’errore e che danno adito ai fautori!!!!
Roberto Bartolini
14 Ottobre 2015 at 1:37 pm
Caro sig. Vidali, la ringrazio per le sue precisazioni; io comunque non volevo sollevare una questione solo di centimetri! Credo valga la pena tentare di gestire il suolo in maniera diversa, ottenendo nel giro di 4-5 anni risultati molto buoni in termini di fertilità chimica, fisica e microbiologica per aumentare le potenzialità benefiche del tesoro più grande che abbiamo, che è proprio la terra dove coltiviamo. Senza terra coltivata infatti non si campa. I tantissimi agricoltori che continuano a perpetrare lo scempio delle arature con i caterpillar che sollevano, come ho scritto, fette di terra grandi come in frigorifero andrebbero “sottoposti a qualche penalizzazione”. Poi che per alcune colture l’aratura non si possa abbandonare è più che ovvio.
AgriBianco
19 Ottobre 2015 at 8:09 pm
Buongiorno. Consuco un azienda a seminativo nella zona di Portogruaro, parte orientale della provincia di Venezia. Mi trovo ad operare in terreni argillo-limosi, in assenza di irrigazione. terreni “difficili” con contenuto di sostanza organica tra il 2 e il 2.5 %.
Nella coltivazione del frumento attuo già da diversi anni la minima lavorazione con ottimi risultati. Prestando soprattutto molta attenzione alla sistemazione idraulica dei terreni.
Vorrei un parere sull’estensione della tecnica della minima lavorazione anche per le restanti colture che pratico in azienda, Soia e Sorgo da granella. L’unico grande punto di domanda è appunto, essendo la mia un azienda in asciutta, se attuando la minima lavorazione non ci sia più stress da carenza idrica rispetto ad un terreno arato a una media profondità in autunno, con conseguente immagazzinamento dell’acqua durante la stagione invernale.
Roberto Bartolini
20 Ottobre 2015 at 10:46 am
Innanzitutto complimenti per l’applicazione della minima lavorazione sul frumento al posto della tradizionale aratura. Come ha potuto verificare, anche su terreni difficili, se giustamente come dice lei si cura la sistemazione idraulica dei terreni per favorire lo sgrondo delle acque e se non si calpesta il suolo, si ottengono ottimi risultati. Ci auguriamo che la sua esperienza possa di essere di esempio ad altri agricoltori vicini che continuano ad arare.
Per quanto riguarda le colture estive come soia e sorgo, c’è da dire prima di tutto che le esigenze idriche delle due piante sono molto diverse: il sorgo è rustico e sopporta bene la siccità, mentre la soia è coltura che per produrre bene ha bisogno di acqua e non sempre quella che viene da cielo è sufficiente. Tuttavia ci sono ormai tantissime esperienze di aziende non irrigue che praticano la minima lavorazione sulle colture estive e hanno successo, a patto che non si abbia fretta nell’ottenere i risultati sperati. Questo perché il terreno, passando dall’aratura alla minima, deve ritrovare un suo equilibrio per quanto riguarda soprattutto la sua struttura fisica oltre che chimica e microbiologica, e perciò occorre qualche anno. La capacità di conservare l’umidità è sufficiente anche senza l’aratura, ma occorre che il terreno sia dotato di buona struttura. L’ideale per favorire questo aspetto sarebbe utilizzare le cover crops o colture di copertura tra una coltura principale e l’altra e attuare la minima lavorazione con attrezzature innovative, come abbiamo più volte riportato nel nostro sito. Un’idea vincente potrebbe essere quella di applicare lo strip-till o lavorazione a strisce, che prevede l’alternanza di una fascia di terreno lavorato con una con residui colturali intatti, che favoriscono l’aumento del tasso di sostanza organica e trattengono l’evaporazione dal suolo (per maggiori approfondimenti sullo strip-till: http://www.ilnuovoagricoltore.it/cos-e-strip-till-lavorazione-a-strisce/ )
Grazie per averci contattato!
Andrea
20 Ottobre 2015 at 9:05 pm
Buona sera, sono un nuovo agricoltore che,col primo insediamento avrei optato di comprare un erpice a dischi combinato per poter eseguire una minima lavorazione dove semino frumento e fagiolino e magari anche mais, da qualche anno ho abbandonato l’aratura facendo ripuntatura tipo cracker… Mi trovo molto bene però dato che credo nella minima lavorazione, e,avendo già provato con buoni risultati volevo buttarmi su questa…. Volevo chiederle: abitando in Emilia Romagna sa se c’è qualche contributo per chi esegue minima lavorazione oppure se ci sarà solo per chi semina su sodo?
Roberto Bartolini
21 Ottobre 2015 at 12:41 pm
Buongiorno Andrea, nel nostro portale abbiamo pubblicato un articolo relativo alla misura M 10 dove riportiamo regione per regione come si finanziano le tecniche conservative. Eccolo: http://www.ilnuovoagricoltore.it/nuovi-psr-misura-10-agricoltura-conservativa-tutte-le-differenze-tra-regione-e-regione/
In Emilia-Romagna, anche se non è ancora uscito il bando per la misura 10 (e quindi ci potrebbero essere novità dell’ultima ora), risulta che si finanziano sia la semina su sodo sia la minima lavorazione. Questo come percorso virtuoso da applicare per 5 anni su tutta o una parte dell’azienda a seminativo. Inoltre nella misura M 4 dedicata agli investimenti potrebbe attingere un finanziamento per l’acquisto della nuova attrezzatura, dato che si tratta di un’azione che va nella direzione della sostenibilità sia economica sia ambientale.
Daniel
23 Dicembre 2018 at 3:41 pm
Buongiorno. Nella mia zona, molti agricoltori hanno provato a fare minima lavorazione, senza successo. Io credo che lo abbiano fatto nel modo errato, utilizzando l’erpice rotante, invece che a dischi o un estirpatore. È giusto il mio pensiero?
Io, a breve, prenderò le redini della piccola azienda dei miei nonni. Abbiamo circa 5 ettari. Non credo che lascerò l’aratura, perché sono legato all’attrezzatura e alle lavorazioni. Penso che arerò a circa 30 cm. Va bene, o è distruttiva come aratura?
Se prenderò almeno 10-15 ettari, probabilmente farò minima lavorazione!
Roberto Bartolini
27 Dicembre 2018 at 3:30 pm
Buongiorno Daniel. La minima lavorazione deve escludere tassativamente l’uso dell’erpice rotante, che insieme alle arature medio-profonde è il principale responsabile del degrado dei nostri terreni, ormai privi di sostanza organica e di vita biologica. La minima lavorazione si deve fare con attrezzature a dischi o ad ancore non mosse dalla presa di forza e costruite in maniera tale da non rivoltare la fetta di terreno. Oppure si può praticare lo strip-till.