Latte bio di alta qualità: solo così la collina si salva dall’abbandono
«Ma lo sa che per coltivare cereali e foraggi sulle nostre colline ci vogliono almeno 40 cavalli in più di potenza rispetto alla pianura? Senza considerare i maggiori costi di tutta la logistica. Siamo quassù da quando, negli anni settanta, mio papà ha fondato la Società Agricola Ballantini e Zaninelli nel comune di Pianoro (Bologna), che ha sempre prodotto latte per la Granarolo. E nonostante tutte le difficoltà, ancora oggi non molliamo e cerchiamo di introdurre tutte le innovazioni possibili per rimanere sul mercato». Sono le parole di Enrico Ballantini, che alleva 140 capi di razza Frisona e coltiva oltre 110 ettari a medica, orzo, triticale, favino e pisello. Già nel 1992, Ballantini entrò a far parte di quella stretta cerchia di allevatori capaci di produrre il latte certificato di alta qualità.
«Per far quadrare i conti – dice Ballantini – si deve sempre puntare al massimo della produttività e della qualità. Perciò nel 2012 abbiamo fatto importanti interventi strutturali in stalla, all’insegna del massimo benessere degli animali, e dal 2017 siamo passati alla produzione biologica, sia in campo sia in stalla».
Tornano i conti con il latte biologico?
«Le nostre vacche producono in media 30 litri di latte per una produzione annua di oltre 6000 quintali di latte biologico destinato alla Granarolo, che oggi è quotato a 0,60 euro + Iva con l’aggiunta del premio qualità, per il contenuto di grasso e di proteine. Non è che si navighi nell’oro, ma non c’è dubbio che almeno tutto l’impegno per portare alla latteria un prodotto di questo tipo viene ripagato».
Come interviene in stalla per mantenere alti i suoi standard produttivi?
«In stalla investiamo tanto nella genetica dei tori e sul benessere animale. Da quando abbiamo adottato le cuccette con la paglia fresca ogni due giorni e il raffrescamento con le pale nel soffitto della stalla, abbiamo aumentato la produzione di latte e sono diminuite le malattie. Poi occorre mantenere sempre alta l’igiene nell’impianto di mungitura e sostituire le tettarelle ogni sette mesi, così si limitano al massimo le mastiti».
E in campo quali sono i segreti per portare a casa prodotti di qualità?
«Noi facciamo colture biologiche, quindi, per quanto riguarda il terreno, dobbiamo preoccuparci di non avere infestanti e non possiamo fare a meno di un’aratura a 30-35 centimetri di profondità. Utilizziamo anche ripuntatore e dischiere per completare l’opera e poniamo grande attenzione a evitare compattamenti. La concimazione è affidata al nostro letame e ai concimi organici; mentre la nostra razione è costituita per l’80% da prodotti aziendali, quindi non dobbiamo sbagliare un colpo».
«Al triticale o all’orzo, che sono le nostre principali colture invernali, facciamo seguire sorgo silage o da granella raccolto alla maturazione cerosa. Il primo taglio di sorgo silage lo facciamo come foraggio fresco e dopo circa 50 giorni entriamo per il secondo taglio e insiliamo il raccolto», prosegue Ballantini.
«Per avere una buona percentuale di grasso nel latte la medica va raccolta giovane, quando sono abbozzati i primi bottoni fiorali. Qui da noi si fanno al massimo 4 tagli se la stagione ci aiuta, contro i 6 o 7 della pianura, ma se si fa tutto per bene il prodotto è eccellente. Per il triticale e l’orzo dobbiamo portare a casa un prodotto sano e quest’anno, se le piogge ci lasceranno un po’ in pace, dovremmo fare un buon raccolto».
L’azienda Ballantini è un bell’esempio di impresa agricola familiare che possiamo definire “eroica”, perché mantiene le sue radici su colline impervie, anche se i terreni sono fertili e la natura è incontaminata. Paesaggi idilliaci che possiamo ancora contemplare e visitare grazie a questi agricoltori che, oltre a produrre eccellenze, custodiscono il territorio. E meriterebbero ben più attenzioni da parte della distratta politica di casa nostra.