Molinari: “Le colture che ho testato per poter fare mais su mais”
«Un impianto di biogas da 1 megawatt, alimentato principalmente dal mais, ci impone di evitare l’obbligo di rotazione previsto dalla nuova Pac con la semina di colture intercalari secondarie, trovando quelle più adatte alla situazione aziendale». Sono le parole di Vainer Molinari, che insieme al figlio Mattia ha la direzione agronomica dell’azienda Orsimangelli a Le Budrie, in provincia di Bologna.
La superficie a seminativi è di circa 260 ettari, di cui oltre 200 sono occupati dal mais e dal frumento. «Quest’anno abbiamo riservato una decina di ettari al sorgo – spiega Mattia – con prove di confronto tra diversi ibridi seminati il 20 giugno. La riteniamo una coltura molto interessante, anche perché in questa azienda non siamo dotati di irrigazione. Vedremo le produzioni e valuteremo la resa in biogas, ma l’obiettivo è di allargare la superficie a sorgo nel 2024 a scapito del mais».
Favino e pisello proteico, poi semina del mais
Ma come risolveranno i Molinari la questione legata al vincolo di rotazione imposto dal 2024 dalla nuova Pac? Risponde Mattia: «Con la semina di colture secondarie su stoppie di mais. Lo scorso anno abbiamo seminato a metà settembre pisello proteico e favino. Il pisello proteico è stato distrutto dal gelo invernale, mentre il favino è rimasto in piedi bello verde e vigoroso».
«Sui residui di pisello, dopo una discatura, abbiamo seminato direttamente mais, mentre sul favino abbiamo eseguito un passaggio con rullo Crimper che ha creato uno strato di pacciamatura verde sulla quale è stato seminato il mais», prosegue Mattia. «Su un’altra porzione di favino invece siamo intervenuti con una discatura. L’emergenza del mais e i risultati produttivi sono stati soddisfacenti in entrambi i casi, ma la mia preferenza va al favino. A fine inverno si vedevano sull’apparato radicale dei grossi noduli con abbondanza di rizobio, fattore importante per l’arricchimento del suolo, e inoltre questa coltura ha esercitato una competizione fenomenale con ogni genere di infestante che era presente su quel campo».
Per quanto riguarda quest’anno, aggiunge Vainer, «abbiamo sperimentato differenti tipologie di miscugli foraggeri, raccolti tra il 5 e il 10 giugno, facendo seguire la semina del sorgo. Il prodotto foraggero è stato venduto ai disidratatori e ci ha permesso un piccolo guadagno. Devo dire che tra tutti il miscuglio che mi è piaciuto di più è stato Herby Mix L di RV Venturoli, composto da veccia sativa, trifoglio incarnato e Loietto italico».
Mai più aratura da oltre vent’anni
Come vengono preparati i letti di semina? «Da oltre 20 anni ho abbandonato l’aratura, perché ritengo dannoso il ribaltamento delle zolle», afferma Vainer. «Applico le lavorazioni conservative che possono essere minima (discissura per arieggiare il terreno ed erpice a dischi successivamente) e anche sodo dove è possibile, cioè sui terreni non calpestati».
Eppure, tanti suoi colleghi dichiarano che le lavorazioni conservative non si adattano a tutti i terreni e così continuano ad arare. «Ognuno è libero di pensarla come vuole – ribatte Vainer – ma così facendo spendono tanti soldi inutilmente e per di più non concorrono certo alla diminuzione delle emissioni di gas serra. La storia che le lavorazioni conservative si adattino solo a certi terreni e situazioni aziendali, è una favola metropolitana. Chi dice questo è chiaro che non le ha mai provate. Tutti i terreni vanno bene, basta fare le cose per bene. Anzi, più i terreni sono difficili e maggiori sono i vantaggi ottenibili dalle lavorazioni conservative. Se si passa dall’aratura alla minima e al sodo, la massima attenzione va posta per evitare il calpestamento e le ormaie. E poi per vedere gli effetti occorre aspettare 4-5 anni. Dopodiché, se si solleverà una zolla si torneranno a vedere i lombrichi, una delle risorse più preziose per mantenere la fertilità dei suoli agricoli».
Il futuro del biogas
L’impianto di biogas dell’azienda gestita dai Molinari ha iniziato a lavorare nel 2012, quindi nel 2027 terminerà la tariffa agevolata di 0,28 centesimi. Ma i due hanno già un piano per il futuro: «Tra le ipotesi che stiamo valutando c’è quella di depotenziare fino all’80% l’impianto attuale e andare avanti con la produzione di elettricità, ammesso che la tariffa che ci verrà proposta sia almeno di 0,23 centesimi, altrimenti si lavorerebbe in perdita», spiega Vainer. «Altrimenti c’è la conversione in biometano, ma l’investimento richiesto è di alcuni milioni di euro e quindi bisogna, anche in questo caso, fare molto bene i conti».