Dalla sostanza organica dipendono la fertilità del suolo e la produttività delle colture: ecco perché

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Ogni tanto sarebbe opportuno che i nostri agricoltori, ma anche i contoterzisti, facessero un rapido ripasso di alcune basi agronomiche per rendersi conto che la potenzialità genetica delle colture ha ancora tanto da esprimere, e se non lo fa dipende solo da come si lavora la terra. Sappiamo che molti non vogliono sentirselo dire, ma è un dato di fatto che decenni di arature ed erpicature, soprattutto dove non c’è zootecnica, hanno prodotto danni incalcolabili con la diminuzione della sostanza organica, la prima grave sciagura di un sistema intensivo che si porta dietro altri guai come l’erosione, il compattamento e la perdita della struttura fisica dei suoli. Dunque la prima preoccupazione che deve avere oggi l’agricoltore che tiene alla propria terra e al proprio portafogli è quella di aumentare, anno dopo anno, il tasso di sostanza organica dei suoi terreni.

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A ribadirlo, con dati scientifici alla mano, è stato Marco Mazzoncini dell’Università di Pisa nel corso di un incontro organizzato dalla CIA di Pisa. Dalla sostanza organica, infatti, dipendono:

  • Il ritorno dell’attività microbica e quindi della vita nel suolo (in un suolo vivo ci sono batteri, funghi, alghe, protozoi, nematodi, artropodi e anellidi).
  • L’incremento della porosità degli aggregati.
  • La stabilità della struttura del terreno.
  • La migliore ritenzione idrica.
  • La maggiore disponibilità di nutrienti.
  • La stabilizzazione del pH.

Dunque, dice Mazzoncini, le due mosse da fare sono:

  1. Incrementare l’apporto di carbonio organico nel terreno con i residui colturali e le cover crops e con sostanza organica ove possibile.
  2. Ridurre la mineralizzazione della sostanza organica con le minime lavorazioni e/o il sodo, il mantenimento dei residui colturali in superficie e l’inerbimento invernale con le cover crops, oltre a un impiego razionale dell’N minerale.

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Marco Mazzoncini nel corso dell’incontro organizzato dalla CIA di Pisa.

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I vantaggi della non aratura

Per aumentare il tasso di sostanza organica del suolo occorre prima di tutto adottare le lavorazioni conservative al posto di quelle tradizionali, abbinate alle cover crops, agli avvicendamenti colturali e alla diminuzione dei compattamenti con l’uso di attrezzature e gommature adeguate.

Ecco, a titolo di esempio, alcuni dati ambientali relativi ai terreni collinari:

Deflussi di acqua

  • con aratura = 110 mm
  • con sodo = 40 mm

Erosione

  • con aratura = 31,5 tonn/ha/anno
  • con sodo = 2,9 tonn/ha/anno

Perdita di azoto

  • con aratura = 44 kg/ha/anno
  • con sodo = 6,6 kg/ha/anno

I costi colturali

Passiamo ai costi colturali. È molto interessante l’esperienza di quindici anni coltivazione di frumento duro effettuata dall’Università di Pisa confrontando rese e costi tra un sistema convenzionale con aratura e un sistema innovativo con lavorazione conservativa.

Rese medie di 15 anni

  • Sistema convenzionale = 5,76 t/ha al 13% di umidità
  • Sistema conservativo = 5,24 t/ha al 13% di umidità

La riduzione di resa c’è, ma è poco significativa rispetto ai vantaggi che dà l’agricoltura conservativa. Vediamo di seguito costi.

Costi colturali attualizzati al 2016

  • Sistema convenzionale = 1016 euro/ha
  • Sistema conservativo = 871 euro/ha

Dunque un 14% in meno a favore del sistema conservativo, che anche in presenza di prezzi di mercato poco favorevoli, produce un beneficio economico non di poco conto e soprattutto favorisce il ritorno della fertilità del suolo, che – lo ribadiamo – deve diventare la preoccupazione numero uno dell’agricoltore di oggi.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


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