“8 anni senza aratro né erpice: così ho imparato a rispettare la terra”
«Quando usavo aratro ed erpice, entravo in campo in qualsiasi condizione e non mi ponevo nessun problema. Ma dopo otto anni di minima lavorazione, posso dire che finalmente ho imparato a rispettare la terra. E la terra mi è riconoscente, con alte produzioni e con un aumento progressivo della sua fertilità. Oggi entro in campo solo quando la terra non si attacca più al badile». Chi parla, con gli occhi che brillano di soddisfazione, è Alberto Zanella, giovane imprenditore agricolo titolare della Società Agricola S.Agostino, animato da una grande curiosità e da un forte desiderio di migliorarsi sempre.
Alberto conduce insieme al papà Aleardo una trentina di ettari a Casaloldo (Mantova) con un allevamento di bovini da carne di razza Limousine, un impianto fotovoltaico da 87 kw e tra pochi giorni anche un impianto di biogas da 100 kw, alimentato solo con liquami e letame.
Informarsi da chi ha già esperienze dirette in campo
Fu nel corso di un viaggio che Zanella ebbe l’illuminazione, incontrando alcuni agricoltori che discutevano dei vantaggi agronomici ed economici che avevano raggiunto dopo aver abbandonato l’aratro: «Era la prima volta che sentivo parlare di minima lavorazione e di cover crops – spiega Alberto – e la curiosità per queste innovazioni mi condusse nelle loro aziende per vedere di persona le attrezzature che avevano adottato e farmi spiegare come si poteva gestire la terra in maniera diversa dal tradizionale».
Qualidisc e CLC Pro al posto di aratri ed erpici
Dopo queste visite che cosa fece?
«Ho acquistato senza perdere tempo un erpice Qualidisc di Kverneland e l’ho messo subito in campo per preparare il terreno per la semina del triticale e l’anno successivo anche del mais. Sin dal primo anno sono rimasto stupito e impressionato per l’ottima preparazione del letto di semina, ma anche per i risultati produttivi, superiori a quelli ottenuti con l’aratura. Da quel momento non ho più smesso di applicare la minima lavorazione».
Infatti ha acquistato anche un coltivatore Kverneland CLC Pro…
«È il completamento ideale del cantiere di minima, perché con il CLC si affina il letto di semina dopo che si è fatto il primo passaggio con il Qualidisc. Ma se il terreno non è calpestato, è sufficiente anche un solo passaggio di Qualidisc. Dipende dalle condizioni, che sono differenti di anno in anno: occorre adattarsi ed essere flessibili».
Triticale e mais trinciato di secondo raccolto
Qual è l’ordinamento colturale?
«Su 22 ettari circa semino triticale in autunno e nell’estate successiva mais da trinciato di secondo raccolto: sono entrambi prodotti destinati all’allevamento. Sui restanti 7 ettari, in rotazione, semino di solito mais da granella dopo che il terreno è stato coperto da una cover crops, senape o tillage radish».
Quali sono le produzioni medie?
«Per quanto riguarda il mais da trinciato, a seconda delle annate si va da 570 a 670 ql/ha con un alto valore di amido, mentre per il triticale dipende molto dalla stagione: quest’anno non è andata molto bene e ci siamo fermati a 120 ql/ha».
Meno costi, più produzione. E la terra migliora con gli anni
Dopo anni di minima lavorazione e cover crops quali sono le conclusioni?
«Dal punto di vista dei costi, rispetto all’aratura, con la minima si risparmia almeno il 40% del gasolio e molte ore di lavoro, dato che si limitano i passaggi in campo. Si ha inoltre la possibilità di scegliere le finestre più utili di lavoro, evitando di entrare col terreno bagnato, e la fertilità e la struttura del terreno migliorano anno dopo anno, di conseguenza aumentano la portanza dei suoli e la dotazione di nutrienti. Tutto questo è testimoniato dai dati delle analisi del terreno che periodicamente vengono fatte nella mia azienda.
Gli agricoltori devono capire che questa è la strada vincente, e lo dico perché l’ho provato sulla mia pelle. Non ho altre motivazioni per fare questa affermazione. Se la minima non mi avesse dato buoni risultati, è ovvio che sarei tornato all’aratro! Il guaio è che sono ancora troppi coloro che dicono che togliere l’aratro significa uccidere la terra. Invece è vero esattamente il contrario: provare per credere!»
La conclusione non può essere che questa: ce ne fossero, di giovani agricoltori così, e la nostra agricoltura andrebbe molto meglio! Bisogna avere il coraggio di innovare e credere in ciò che si fa.
«Vi ho dato la mia testimonianza sincera – conclude Zanella – e con dati alla mano. Non è facile investire in questo momento, ma io ho deciso di vincere il pregiudizio e far crescere la mia azienda».
Un commento
Claudino
18 Gennaio 2021 at 2:39 pm
La sua sincera testimonianza , se non fosse legata a quella marca di attrezzi, non l’avrebbe considerata nessuno!. Ha risparmiato gasolio per l’aratura, ma cosa le costano irrigazioni, diserbo e cover crops? noi senza stalla non abbiamo letame e liquami gratis, ma siamo fortunati perchè con il terreno che abbiamo e i nostri vecchi attrezzi a cui vogliamo tanto bene, produciamo di più e forse forse, due soldi in più ci restano in tasca