La parola agli agricoltori: ”Con l’aratro in soffitta, migliorano fertilità e produzioni”

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«Non è questione di terreno, ma solo di mentalità dell’agricoltore che pensa di non produrre più nulla senza aratro». Roberto Zaninetti, 100 ettari in affitto in provincia di Novara, ha venduto l’aratro tre anni fa per dedicarsi esclusivamente alle minime lavorazione su mais, soia, sorgo triticale, frumento e colza. Si tratta di uno degli agricoltori che abbiamo incontrato all’ultima edizione della fiera Eima di Bologna per scambiare le esperienze sull’agricoltura conservativa.

Scambio di esperienze allo stand Kverneland dell’Eima 2018. Da sinistra gli agricoltori Marco Soave, Roberto Zaninetti e Enrico Soffiati. A destra il prof. Luigi Sartori dell’Università di Padova.

Dopo tre anni di minima, produzioni in aumento

«Dopo tre anni di minima lavorazione – aggiunge Zaninetti – posso affermare che tutte le mie produzioni sono aumentate rispetto a quando facevo aratura ed erpicatura e mi sono reso conto che dovevo abbandonare l’aratro molto tempo prima. Solo per fare un esempio, la produzione 2018 di mais in asciutta è stata di oltre 120 ql/ha di granella secca. Quest’anno ho seminato su minima lavorazione anche il colza, che ha un seme molto difficile da far nascere, ma ho già tutte le piantine fuori con un investimento perfetto».

Un pioniere dello strip-till in Veneto

Marco Soave di Villafranca (Verona) è stato nella sua zona un pioniere dello strip-till, che applica ormai da tantissimi anni con grande successo. «Quest’anno ho prodotto 178 ql/ha di granella al 18% di umidità alla raccolta su minima lavorazione con strip-till e ala gocciolante. Si tratta ormai di produzioni standard per la mia azienda, da quando ho abbandonato l’aratura e ho cominciato a rispettare il terreno. Purtroppo gli agricoltori sono abitudinari, stentano tantissimo ad aprirsi alle nuove tecniche e questo ci sta penalizzando, perché i terreni si impoveriscono e le rese non aumentano».

«Non ho abbandonato del tutto l’aratro, ma la minima funziona»

Enrico Soffiati, anche lui veneto, ha un’azienda di 25 ettari e in parte adotta l’agricoltura conservativa. «Sono molto soddisfatto della minima lavorazione, anche se non ho ancora abbandonato l’aratura del tutto, dal momento che con questa nuova tecnica, certamente più rispettosa del suolo, quest’anno ho prodotto 178 ql/ha di mais al 25% di umidità. Per riuscire bene con la minima l’importante è non calpestare i terreni e soprattutto gestire bene i residui colturali, che non devono essere ammucchiati sulla superficie del terreno, ma uniformemente distribuiti. Purtroppo un grosso problema è che l’agricoltore ormai non programma più i suoi interventi e le colture, ma decide cosa seminare all’ultimo momento. Altro aspetto importante è la sistemazione dei terreni: ci si lamenta dei ristagni e poi si continuano ad avere vecchie sistemazioni che impediscono la buona regimazione delle acque, soprattutto con queste bombe d’acqua che stanno venendo giù dal cielo da qualche anno a questa parte».

Il progetto Agricare promuove la minima abbinata alla precisione

All’incontro ha partecipato anche il prof. Luigi Sartori dell’Università di Padova, che ha sottolineato alcuni dati sull’agricoltura di precisione abbinata a quella conservativa desunti dal progetto Agricare. Nei primi due anni di prove di una rotazione frumento-colza-mais-soia, il reddito lordo della minima lavorazione abbinata alle dosi variabili di concimi e sementi e alla guida automatica è stato di 410 euro/ha, contro 340 euro/ha della lavorazione tradizionale del terreno e guida manuale.

Dunque chi fa i conti seriamente fa presto a decidere quale tecnica agronomica adottare. Chi non fa i conti continua invece con i sistemi tradizionali e vede la sua redditività diminuire anno dopo anno, senza considerare che impoverisce il suolo facendo un danno non solo a se stesso ma anche a tutti noi.

Roberto Bartolini

Laureato in agraria all'Università di Bologna, giornalista professionista dal 1987, ha lavorato per 35 anni nel Gruppo Edagricole di Bologna, passando dal ruolo di redattore a quello direttore editoriale. Per oltre 15 anni è stato direttore responsabile del settimanale Terra e Vita. Oggi svolge attività di consulenza editoriale e agronomica, occupandosi di seminativi e di innovazione tecnologica.


2 commenti

  • Maurizio

    27 Novembre 2018 at 7:17 am

    Non sono per niente d’accordo i diversi tipi di lavorazioni del terreno sono usate per interessi aziendali .
    La semina su sodo viene scelti dalle grosse aziende non zootecniche impossibile interrare fertilizzante organico molto utile
    Al sistema naturale terra.
    L aratura e la minima lavorazione penso si assomigliano molto
    La minima lavorazione credo nessuno la faccia nel rispetto pac profondità e poi anche la fresatura finale in alcuni casi .
    L aratura è il sistema antico che usando profondità non eccessive serve a sterilizzare da materne senza dover usare prodotti chimici che voi non avete acetato .
    Le produzioni dipendono solo da clima.sistema difertilizazione e abilità del seminatore.

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    • Fabio Giangiacomi

      29 Novembre 2018 at 6:02 am

      La scoperta dell’acqua calda, per molti Marchigiani è più di 25 anni che lo stanno facendo

      Rispondi

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