La Torre: Kultistrip su mais e soia e il biogas intelligente e redditizio

Nove ettari di soia e cinque ettari di mais seminati con il Kverneland Kultistrip su stoppie di triticale raccolto per insilato: si fa così per provare l’innovazione e rendersi conto se costituisce un passo avanti rispetto a quello che si è sempre fatto e pensato.
Riccardo Artegiani della cooperativa La Torre a Isola della Scala (Verona), tra i più grandi allevamenti di bovini Charolais in Italia – 250 ettari a mais, 100 a soia, 125 a loietto e 80 a triticale, tutti dedicati all’alimentazione dei 5000 capi – quest’anno ha deciso di “sperimentare” la tecnica dello strip-till o semina a strisce.

Alla fine di maggio lavorazione e semina dopo triticale
«Ho letto molti articoli e ho ascoltato molte esperienze – spiega Artegiani – e mi è venuta voglia di testare lo strip-till perché bisogna sempre guardare avanti e provare nella propria realtà aziendale le innovazioni tecnologiche e agronomiche. È una filosofia di vita e di lavoro che seguiamo da sempre e che ci ha portato nella maggior parte dei casi a risultati importanti. Così abbiamo seminato alla fine di maggio la soia e il mais con il Kultistrip, scegliendo per quest’anno un terreno di medio impasto. L’attrezzatura ha lavorato molto bene tra le stoppie, e contemporaneamente è seguita la semina effettuata con la seminatrice Kverneland Accord Optima HD a otto file munita di satellitare».

Un’eccezionale velocità di lavoro e la massima tempestività
Quali sono le prime impressioni facendo un confronto con la tecnica di lavoro tradizionale?
«La perfetta emergenza della soia e del mais testimonia che Kultistrip e Optima HD hanno svolto un ottimo lavoro e che ci sono tutte le premesse per promuovere questa nuova tecnica, anche se occorre sempre attendere il risultato alla trebbiatura. Non c’è dubbio che rispetto all’aratura o ripuntatura e successivi passaggi per affinare il letto di semina – soprattutto sui secondi raccolti, quando è obbligatorio non perdere tempo – lo strip-till ci permette la massima tempestività e velocità di lavoro con una semplificazione che si traduce immediatamente in un risparmio di oltre il 50% dei costi di lavorazione. Inoltre, quando si lavora il terreno a fine maggio anche dopo uno o due passaggi di erpice, rimangono zolle di una certa dimensione che ostacolano la perfetta nascita di tutti i semi deposti. Dunque per ora siamo molto soddisfatti».

Perché il biogas alla Torre è un progetto molto virtuoso
Visto che siamo alla Torre, vogliamo sottolineare che questa azienda costituisce anche un esempio emblematico che il biogas, se è “fatto per bene”, si traduce in un progetto virtuoso, estremamente redditizio nonché utile per l’ambiente.
«Noi abbiamo installato due impianti da 1 megawatt cadauno – dice Artegiani – cercando di organizzare l’avvicendamento colturale in due direzioni ben distinte: una costituita dall’accoppiata “invernale” triticale-loietto, destinata ad alimentare i digestori, e la seconda formata dal mais e dalla soia, indirizzata all’allevamento e al mercato. Così facendo abbiamo superato il classico dualismo tra produzioni vegetali destinate al biogas e sottratte al food, rispettando nello stesso tempo le nuove regole dettate dalla Pac sull’avvicendamento e sul greening».
Non c’è dubbio che questa suddivisione della terra tra colture vernine e primaverili-estive, compresi i secondi raccolti, risulta totalmente sostenibile perché favorisce un aumento della fertilità dei suoli e permette un utilizzo agronomico ottimale del digestato proveniente dall’impianto di biogas, che da sottoprodotto scomodo diventa prezioso fertilizzante capace di eliminare in pochi anni l’uso dei concimi di sintesi.
