Lavorazioni del terreno: perché non occorre andare oltre 30 cm di profondità
Qual è lo strato attivo del suolo dove si concentra la massima attività biologica e biochimica? Ovviamente dove c’è ossigeno, e proprio per questo lo strato attivo del suolo dove si raggiunge la degradazione ottimale della sostanza organica e la sua trasformazione in humus è alla profondità massima di 30 centimetri.
«È su questa zona di terreno che l’agricoltore deve lavorare – dice l’agronomo Roberto Guidotti dell’Apima – e i 30 cm sono ideali nei terreni più grossolani e sciolti, mentre dove prevalgono limo e argilla è meglio stare intorno ai 15-20 cm. Nei terreni umidi e con temperature basse, il processo di mineralizzazione della sostanza organica è lento e le perdite di ammoniaca e anidride carbonica sono modeste. Ecco perché la minima lavorazione e la semina su sodo si sono diffuse nelle zone dove il clima è fresco e piovoso».
Ma allora come mai nel Sud Italia il sodo sul frumento è così diffuso? «In questo caso – risponde Guidotti – la motivazione numero uno sta nel risparmio idrico. Una lavorazione profonda nei climi secchi comporta l’esposizione all’aria e al sole di una maggiore superficie di terreno a parità di volume, determinando una forte evaporazione che può disseccare completamente lo strato lavorato. In queste situazioni la semina diretta e soprattutto lo strip-till (lavorazione a strisce) sono ideali».
La minima lavorazione senza inversione degli strati esercita diversi effetti che cerchiamo di riassumere in breve qui di seguito.
Sulla struttura del suolo:
- Aumento della porosità
- Stabilità strutturale del suolo
- Formazione di piccole zolle adatte anche alla semina diretta
Sulla vita del suolo:
- Aumenta l’ossigenazione e quindi l’attività biologica del suolo
- Riduce l’attività delle malerbe se già emerse
- Aumento del tasso di sostanza organica
- Riduzione delle perdite di azoto ammoniacale e nitrico
- Riduzione dei fenomeni di dilavamento
Sul ciclo dell’acqua:
- Migliora la percolazione profonda
- Riduce i fenomeni di ristagno superficiale
Sui costi:
- Riduzione dei costi di lavorazione
- Minore usura delle attrezzature (rispetto per es. all’erpice rotante)
Il dimensionamento del cantiere
Oggi la lavorazione del terreno rappresenta ancora una delle voci più costose, quindi è opportuno dimensionare bene il cantiere di lavoro, con giusti rapporti tra potenza del trattore, il suo utilizzo e le caratteristiche delle attrezzature che vengono collegate alla centrale di potenza.
Questo il calcolo di Guidotti: «Se prendiamo tre classi di potenza della trattrice – 250, 310 e 360 hp – vediamo che passando da un impiego di 700 ore/anno a 1400 ore/anno il costo orario varia di un buon 15%. Ogni metro in più di larghezza di lavoro dell’attrezzatura, oltre a far risparmiare sui costi di gestione, riduce la superficie calpestata dal trattore e migliora l’efficienza. Un’attrezzatura per la lavorazione del terreno deve sfruttare almeno l’80% della potenza del trattore, altrimenti i conti non tornano».